Se anche il NYT deve chiedere scusa per le fake news

Fra il ricordo dell’editoriale del 24 maggio 2003 e il caso del tweet di Rula Jebreal sulla violenza di questi giorni alla transgender ecco come le fake news sono come il Covid e producono varianti.

Se anche il NYT deve chiedere scusa per le fake news
Il NYT del febbraio 2003 che riportava “le prove” degli armamenti iracheni mostrate da Powell
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Marcello Cecconi Modifica articolo

30 Maggio 2023 - 16.28


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Diciannove anni fa c’era ancora chi sapeva chiedere scusa. Il New York Times, il 26 maggio 2004, riconobbe ufficialmente di aver pubblicato la madre di tutte le fake news: la presenza “provata” delle armi chimiche e nucleari in Iraq. Questa notizia, come sappiamo,  giustificò l’invasione dell’Iraq da parte degli Usa, della Gran Bretagna con il via libera dell’Onu.

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Le bufale, come si chiamavano le fake news prima dell’arrivo di internet, non erano altro che un messaggio che tendeva a disinformare e che induceva il ricevente a crearsi giudizi che diventavano automaticamente pregiudizi. Oggi le bufale, in buona o cattiva fede, sono una piaga così invadente che fra ferite e cicatrici hanno anche contribuito alla creazione di anticorpi con il solo difetto di non attivarsi automaticamente.  

Quegli anticorpi si sono formati soprattutto nell’ultimo decennio contrassegnato dal bailamme della sovraesposizione mediatica, auto-alimentata dai social, che ci ha messo in condizione di affinare la nostra difesa attraverso l’attenzione continua per una diretta verifica dell’attendibilità dei messaggi. Ma oggi dobbiamo lavorare per la continua modifica degli anticorpi perché le fake news sono come il Covid, appena conosciuti gli anticorpi formano delle varianti e dobbiamo impegnarsi ancora per trovare nuovi antidoti.

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Quando ci apprestiamo a leggere, ascoltare o guardare, il nostro meccanismo di controllo è pronto a entrare in circolo ma solo noi possiamo decidere se sprecare energie per attivarlo e, talvolta, quando il messaggio che ci arriva è conforme alla nostra opinione ci lasciamo coccolare anziché sforzarsi nella verifica. Quanto è faticoso mettersi in discussione!

Mala tempora currunt … difficile trovare oggi chi si scusa di una bufala! Vediamo un caso di questi giorni. Eccolo. La transgender di Milano picchiata dalla polizia urbana nel video virale (prove reali). La giornalista Rula Jebreal lo condivide e lo commenta su Twitter ed ecco che attraverso un meccanismo ponziopilatesco di moderazione del social “Community Notes”, affidato a terzi e senza nessuna garanzia di competenza, un moderatore tenta la correzione del messaggio cambiando volto alla realtà.

Il “moderatore” dà peso alla ricostruzione di fatti precedenti alla violenza come la presunta esibizione sessuale della transgender davanti a ragazzi di una scuola (con nessuna prova) con obiettivo la ricerca di sbiadire i cazzotti della polizia e evidenziare l’emarginazione e pericolosità della transgender. Insomma la realtà di una violenza nuda e cruda messa allo stesso livello di ipotetesi tutti da analizzare e ricostruire. Ecco perché le fake news diventano ancora più subdole e complicano il lavoro dei nostri anticorpi.

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Come dicevamo nell’incipit è importante ricordare l’esempio del NYT anche perché, e non è un dettaglio, il riconoscimento della bufala avvenne l’anno dopo dell’invasione a occupazione ancora in corso. Allora le “prove” mostrate da Colin Powell e dall’amministrazione statunitense guidata da George W. Bush stavano mostrando crepe ma non erano state ancora smentite.

Gli editori sull’edizione di quel giorno con tremila parole ammettevano tutte le proprie leggerezze nel raccontare il conflitto e si scusarono di non avere verificato con attenzione le fonti di molti articoli, elencandoli uno ad uno. Fonti, ammisero, rappresentate da una cerchia di informatori che erano disertori ed esuli iracheni così decisi a un “cambio di regime” in Iraq da dover far dubitare della loro credibilità. Insieme alle scuse c’era l’impegno del giornale a indagare fino a che non fosse chiarito tutto l’accaduto. La terribile madre di tutte le bufale di allora era stata partorita dal sistema propagandistico all’interno della politica anglo-americana che aprì la strada alla produzione globalizzata di “verità utili”. Il perfezionamento di questo percorso oggi possiamo constatarlo quotidianamente come abbiamo visto sopra con il Tweet della Jebreal mitigato o, se vogliamo riportarlo a una guerra, abbiamo rappresentazione della “necessaria breve operazione speciale” russa in Ucraina e della “brutale lunga invasione” russa contro l’Ucraina. Due guerre diverse? No, solo due facce differenti…della stessa medaglia!

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