Brand iconici: l'evoluzione di un simbolo culturale

E’ stata effettuata una ricerca condotta da Francesco Buschi, Head of Strategy di FutureBrand, per verificare se un brand può o non può essere un’icona culturale

Brand iconici: l'evoluzione di un simbolo culturale
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9 Febbraio 2025 - 18.49


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Può un brand trasformarsi in un’icona culturale? La risposta sta nell’equilibrio tra estetica, emozione e significato, elementi che rendono un marchio non solo riconoscibile, ma anche capace di lasciare un’impronta nella società. Questa domanda è stato il punto di partenza dell’analisi condotta da Francesco Buschi, Head of Strategy FutureBrand, dedicata a sondare l’importanza del marketing che, con il suo potere di influenzare l’immaginario collettivo attraverso storie che vanno oltre il prodotto, è una forma di cultura.

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I brand, infatti, non si limitano a vendere oggetti o servizi, ma evocano emozioni, creano legami e, quando riescono a farlo in modo efficace, diventano icone culturali.

“Per iconicità – sottolinea Francesco Buschi – si intende un mix di estetica, emozione e significato che trasforma un marchio in un’entità memorabile e universale. Pensiamo a Coca-Cola, non una semplice bevanda, ma il simbolo di un’idea e di un tempo che attraversa generazioni.”

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E aggiunge l’Head of Strategy di FutureBrand: “L’iconicità, però, non è solo un mezzo per connettere il pubblico al marchio, è anche un efficace strumento di protezione. In un mercato che copre ormai l’intero globo, i simboli iconici garantiscono identità e coerenza, rendendo il brand immediatamente riconoscibile in ogni angolo del mondo, anche il più remoto”.

E continua Buschi: “Una strategia che rafforza l’unicità della marca e la protegge dalla dispersione culturale e dall’appiattimento che spesso si accompagnano alla globalizzazione. Essere iconici, però, non può essere considerato un traguardo definitivo. Come ogni cosa, anche i brand evolvono e mutano; nel loro caso la sfida risiede soprattutto nel cambiare senza smarrire la propria anima lungo il percorso. Il rischio maggiore per i brand-icona è di scivolare nello stereotipo”.

Per ciò che concerne Coca-Cola – rimarca ancora Buschi – vediamo come la campagna “Every Coca Cola is welcome”, che ha stampato sulle lattine di una “limited edition” i loghi ridisegnati più o meno liberamente da alcuni rivenditori in giro per il mondo, abbia permesso di rompere con la rigidità della sua identità visiva, celebrando la vicinanza e la quotidianità che il marchio vive con il suo pubblico.

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Continua ancora Buschi: “Un altro esempio efficace è il logo di Mulino Bianco, disegnato da Gio Rossi negli anni ’70 e sottoposto diverse volte a micro interventi adattativi, oggi include api e fiori, un redesign che ha trasformato la sua immagine bucolica in un messaggio più attuale e concreto sull’impegno dell’azienda in favore dell’ambiente”

E continua Buschi: “ Allo stesso modo, nella campagna “Save our Species” Lacoste ha collaborato con il WWF, sostituendo il suo coccodrillo con altri animali, per lanciare un messaggio a favore della salvaguardia di tutte le specie minacciate di estinzione.

“Questi loghi, pur fuori dai canoni visivi normati, hanno valorizzato il rapporto tra il brand e i consumatori, sottolineando quanto l’iconicità non sia solo una questione di estetica, ma anche e soprattutto di partecipazione e connessione emotiva”, commenta Buschi.

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Andando nello specifico, un settore che conosce bene le sfide dell’iconicità è quello dell’automotive, in cui il cambiamento è una forte necessità. E’ stato soprattutto l’avvento dei veicoli elettrici a determinare la profonda trasformazione di molti marchi storici in atto.

Infatti, Renault, Volkswagen, Audi, Fiat e molti altri stanno cercando di adattare le loro identità a valori nuovi come, per esempio, la sostenibilità e l’innovazione. La sfida sta nel trovare un equilibrio tra il richiamo alla propria storia e la necessità di parlare a un pubblico contemporaneo, più attento ai valori ambientali e tecnologici.

Tuttavia, nessuno di queste aziende è ancora riuscita ad arrivare dove è giunto il colosso Tesla, fondato dal divisivo Elon Musk e che domina incontrastato sul mercato globale, cioè essere un’icona di un futuro “green”, tecnologico e aspirazionale.

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In definitiva, per rinnovarsi e utilizzare l’iconicità in maniera strategica, i marchi devono avere ben chiaro quali sono gli elementi fondanti del loro immaginario e usarli in modo creativo, abbandonando ogni rigidità.

Questo significa condividere i propri simboli con le persone, modificarli o lasciare che vengano modificati quando necessario, per ritornare a essere sé stessi con maggiore forza.

“Gli esempi dimostrano che l’iconicità è un processo in divenire, tutto il contrario della staticità. La capacità di reinterpretare i propri simboli, preservandone i valori fondamentali, è ciò che consente ai brand di mantenere la propria rilevanza anche culturale, soprattutto in un mondo in piena trasformazione”, insiste ancora Buschi.

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 “Abbiamo prestato forse più attenzione alle regole di utilizzo dei loghi e delle identità visive dei brand di quanta ne abbiamo dedicata a tutelare i loro valori più intimi, quei valori che hanno il potere di farne delle icone”, conclude Buschi.

Questa ricerca condotta da Buschi e dai suoi collaboratori permette di capire che il brand non è qualcosa di statico ma una vera e propria icona culturale, e questo dovrebbe far “drizzare” le antenne alle aziende – dalle più piccole alle più grandi- per quanto riguarda la loro strategia di marketing per convincere i consumatori ad acquistare i loro prodotti e non quelli degli altri.

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