di Antonio Salvati
Un libro davvero necessario quello di Giovanni Grandi, Virtuale è reale. Aver cura delle parole per aver cura delle persone (Edizioni Paoline 2021, pp. 108, € 11).
Il libro è dedicato ai temi della comunicazione non ostile e vuole essere uno strumento agile e scorrevole per itinerari formativi di gruppo o percorsi di approfondimento scolastico. Sono molti – soprattutto insegnanti – che seguono con interesse l’associazione no-profit Parole O_Stili, nata a Trieste nell’agosto 2016. Parole O_Stili ha l’obiettivo di responsabilizzare ed educare gli utenti della Rete a scegliere forme di comunicazione non ostile. In particolar modo, promuove i valori espressi nel “Manifesto della comunicazione non ostile”. Parole O_Stili si rivolge a tutti i cittadini consapevoli del fatto che “virtuale è reale”, e che l’ostilità in Rete ha conseguenze concrete, gravi e permanenti nella vita delle persone.
L’ambiente mediatico crea condizioni che possono favorire il discorso ostile, con uno spettro di comportamenti che esprimono aggressività e assumono caratteristiche diverse online. Tra questi l’anonimato e la distanza fisica, che possono avere effetti di disinibizione in confronto all’attaccare qualcuno di persona; l’amplificazione, per cui un insulto o una diffamazione può raggiungere un’audience immensa; la permanenza, dato che, la rimozione rapida del discorso d’odio risulta molto difficile. Inoltre, il mondo dei social ha rivoluzionato il nostro modo di ricordare e dimenticare, e con ciò non abbiamo fatto ancora i conti. Nel frattempo, tutto è conservato in un immenso archivio digitale, un database universale dei ricordi che contribuisce a riscrivere le nostre biografie. Infine, non va dimenticato l’aspetto dell’esposizione ripetuta, tipica dei social media (quando si creano per esempio ripetizioni in una chat oppure quando un’immagine viene rilanciata all’infinito diventando virale). La ripetizione crea un effetto di familiarità che può essere considerato una forma di condizionamento classico.
Il mondo del web è zeppo di “leoni da tastiera” che comunicano e interagiscono senza andare troppo per il sottile. Talvolta sono soggetti che un momento prima erano del tutto pacifici. I meno giovani ricordano il vecchio motto Verba volant, scripta manent, locuzione latina che, tradotta letteralmente, significa “le parole volano, gli scritti rimangono”. Una parola di troppo detta tra amici certamente lascia il segno, ma con il tempo tende ad attenuarsi. In tal modo tanti screzi si stemperano. Diversamente, una parola offensiva scritta non solo offende al momento, ma rimane depositata a tempo indeterminata nel modo in cui l’abbiamo formulata o nel modo in cui l’abbiamo ricevuta. Questa è la potenza della scrittura – osserva Giovanni Grandi – «nel bene e nel male blocca lo scorrere del tempo e rende le parole più dense, più perentoria».
Negli ultimi anni è decisamente cresciuta la modalità della scrittura breve, di poche parole, divenendo una e propria comunicazione ordinaria: una email o un sms sono più agili di una telefonata, più precisi come promemoria di un contatto a voce che – spesso a causa dell’età – tendiamo a dimenticare. Il problema è considerare la differenza tra verba e scripta, tra gli scambi a voce e quelli scritti. Il mondo dei social non ha la volatilità delle conversazioni tra amici, le famigerate chiacchiere da bar tante volte evocate da Umberto Eco. Giusta ed efficace la strategia degli autori del “Manifesto della comunicazione non ostile” quando suggeriscono ed invitano a riflettere sul seguente assunto: «dico e scrivo in rete solo cose che ho il coraggio di dire di persona». Precauzione che assume maggior valore quando ci rivolgiamo a sconosciuti. In un paese dove i cosiddetti “lettori forti” sono un’esigua minoranza è necessario favorire e valorizzare la lettura, principale risorsa che dà forma al nostro pensiero. In tal senso, è decisamente opportuno il suggerimento del Manifesto di prendersi del tempo prima di saldare lettura e scrittura in un botta e risposta tipico del mondo dei social. Il “così fan tutti” sul web funziona molto bene – ha acutamente osservato Milena Santerini – e crea un effetto gregge potenziato dai meccanismi dei motori di ricerca. Google, nato per riportare le citazioni di valore sul modello di quelle dei testi scientifici, ha finito per far emergere all’attenzione non i contenuti affidabili o approfonditi, ma quelli più cliccati. L’algoritmo che guida la funzione di autocompletamento di Google, inoltre, ha dovuto essere rivisto dato che comparivano in evidenza discorsi d’odio. Per esempio, scrivendo “l’Olocausto è accaduto” comparivano fino a poco tempo fa in primo piano i siti negazionisti secondo i quali l’Olocausto non è accaduto. Se si pensa che la grande maggioranza delle persone non va oltre la prima pagina dei motori di ricerca, si capisce l’effetto persuasivo di avere come primi risultati fake news o menzogne. La grande differenza tra online e offline riguarda l’istantaneità: Internet non solo facilita, ma incoraggia reazioni viscerali, spontanee, giudizi non ponderati, commenti senza filtro. L’istantaneità e la velocità dei messaggi potenziano quella che appare come spontaneità ma risulta essere spesso un agire senza freni morali. Molti adolescenti, che agiscono rapidamente e in modo spontaneo, insultando o diffondendo notizie o immagini che fanno del male agli altri, potrebbero ripensarci prima di fare danni a volte irreparabili ai loro coetanei. La Rete è una sorta di “eternità senza perdono”, direbbe il cardinale Matteo Zuppi. In questo senso è fortemente meritoria l’attività di Parole O_Stili formata da professionisti, della comunicazione d’impresa e della comunicazione politica, influencer, blogger, a cui in seguito si sono aggiunti molti insegnanti, studenti, imprenditori, professionisti. Sono persone diverse, accomunate dalla volontà di rendere la Rete un luogo meno violento, più rispettoso e civile. Potremmo dire che in questi tempi in cui il mondo dell’informazione e quello delle relazioni di tutti i giorni sono spesso urlate, è rivoluzionario adottare uno stile comunicativo non aggressivo e rispettoso dell’altro che trasforma la qualità del nostro vivere quotidiano.
Tutti sanno, quindi, che il web vive di emotività, ma stiamo imparando che essa è la principale fonte di contenuti moralmente rilevanti nella vita quotidiana. Pertanto, in tempi di menzogne, bolle e fake news, la sfida non si gioca solo sul piano razionale, ma soprattutto su quello emotivo.
Il libro di Giovanni Grandi va letto, analizzato e soprattutto diffuso perché contiene molte proposte per suscitare anticorpi e attivismo digitale che non sono l’opposto dell’hate speech, ma si muovono verso l’assunzione di responsabilità personale. Occorre fare molto sul versante dell’intervento educativo. Le considerazioni sviluppate sono indispensabili strumenti che anzi tutto scelgono un approccio critico, anche se fiducioso, verso la comunicazione online; ci offre indicazioni preziose per fronteggiare quelle “pedagogie popolari”, caratterizzate da filosofie educative legate a una visione interpretativa del mondo (l’altro come nemico, la gerarchia dei gruppi ecc.) la cui diffusione è fortemente influenzata dall’ambiente digitale.