Quanto sta accadendo da anni con la tratta dei migranti deve trovare voce. Possibilmente la voce di chi vive sulla propria pelle la fuga dalla miseria, l’inferno libico, la traversata nel Mediterraneo e non naufraga. Alpha Kaba, giornalista della Guinea, racconta un percorso infernale in Schiavi delle milizie (Quarup editore, pp. 144, € 14.90, traduzione Sarah Ventimiglia, prefazione Nello Scavo) su cui Le Monde, nella citazione ripresa dalla casa editrice, ha scritto: ““Ciò che più ci colpisce di questa testimonianza è la normalità dell’orrore, la facilità rivoltante con la quale è stato catturato, la rapidità con la quale è stato derubato della sua umanità. È un sistema che fa dell’inferno la sua normalità, della violenza la sua regola, del razzismo la sua uniforme”.
Alpha Kaba, nato a Boké, Guinea, nel 1988, giornalista, rifugiato politico in Francia, vive a Bordeaux, dove continua a lavorare e dove con il collega Clément Pouré ha trasformato i ricordi in questa narrazione. È dovuto fuggire per salvarsi perché la radio libera Baté Fm di Kankan finisce nel mirino delle autorità. Scappa, attraversa il Mali, va in Niger ad Agadez, da lì attraversa il Sahara che, scopre, “è la prima trappola, il cimitero in cui cadono la maggior parte dei rifugiati”. Tra il 2014 e il 2018 l’Organizzazione internazionale stima siano morte 16mila persone nel Mediterraneo e 30mila nel deserto. Superato il muro di sabbia il cronista finirà prima in Algeria e poi in Libia, in mano a bande di criminali che derubano lui e chi capita a tiro di tutto, di ogni oggetto, per trasformarli in schiavi in un sistema che genera “enormi profitti”.
Fuggito ancora, Alpha Kaba si imbarca su un gommone, fa naufragio e lo salva la ong Sos Mediterranée e registra: “Se fossi fuggito qualche anno dopo, sarei morto in mare: la nave che mi ha soccorso è stata infatti obbligata a chiudere i battenti a fine 2018”. Il libro “è una lettura importante perché permette di comprendere la nauseante facilità con cui, ancora nel XXI secolo, un uomo può trasformarsi in un attimo in un oggetto di cui disporre con violenza e crudeltà – ha scritto nella recensione di qualche tempo fa su Avvenire Chiara Zappa – ma anche perché l’autore, finito nel girone infernale della Libia delle bande armate nella sua vita precedente era un giornalista. E, nonostante tutto, sarà quello che ricorda, che fa domande e indaga”. “Come giornalista, non posso tacere. Il mio lavoro è parlare a nome di tutte quelle persone che sono ancora là in modo che nessuno possa mai più distogliere lo sguardo”, conferma Alpha Kaba sul sito dell’editore italiano.