Enzo Verrengia
Il dolore causato da una perdita non è semplicemente uno stato d’animo ma uno spazio concreto di vuoto nel quale ci si aggira con una disperazione insolubile. Così accade a Hans Heigel, un tenente delle SS che ha perduto la figlioletta Hanne, di otto anni, uccisa dalla tubercolosi. Non ci si lasci ingannare dal grado militare e dall’appartenenza del protagonista de La bambina e il nazista, di Franco Forte e Scilla Bonfiglioli.
Heigel è in realtà un addetto contabile del tranquillo presidio di Osnabrück, lontano dalla guerra, la seconda mondiale, che incombe sulla Germania di Hitler alla vigilia della sua sconfitta. Lui e la moglie Ingrid hanno vissuto in relativa serenità gli anni del conflitto, presi unicamente dall’affetto familiare, e incapaci di reggere alla frattura apportatavi dalla morte di Hanne. La donna, infatti, si ritrae in una depressione quasi catatonica, Hans, a sua volta si aggira in quello spazio dove l’assenza della bambina crea il nulla più assoluto e incolmabile. Per di più, il giovane tenente viene inviato nel lager di Sobibor, per prestare la sua opera di burocrate all’Olocausto.
E qui avviene un miracolo che a tratti si trasforma nel contrario: un incubo. Fra gli ebrei mandati sul posto per finire nelle camere a gas c’è Leah, una piccola olandese, coetanea della scomparsa Hanne e a lei molto somigliante. Da quel momento, Hans non ha che un imperativo: salvarla. Non che la consideri una sostituta della figlioletta. Questo miraggio dura pochissimo. Hans sviluppa un attaccamento per la bambina che è semmai il risveglio della sua capacità di amare. Tanto più che la stessa Hanne benedice questo legame con apparizioni oniriche dalle quali il padre ricava indicazioni su come proteggerla dalle mostruosità del campo di concentramento.
Allora, per Hans comincia un’odissea nell’orrore che lo risucchierà contemporaneamente ai due capi estremi della natura umana: la determinazione omicida e la tenacia di un irrinunciabile sentimento.
Con La bambina e il nazista, Franco Forte e Scilla Bonfiglioli fanno compiere al romanzo italiano di oggi l’atteso, improcrastinabile passaggio dalla narrativa d’occasione al capolavoro contenutistico ed espressivo. Hans, Hanne, Ingrid e Leah compongono un gruppo di figure a tutto tondo, che si stampano in chi legge riga dopo riga, suscitando un’eruzione emotiva che più volte porta alle lacrime. Insieme, l’autore e l’autrice, dànno conto di cosa sia stata davvero la shoah in questi tempi di pericolosi rigurgiti, dovuti all’ignoranza colpevole delle nuove generazioni e all’inadeguatezza di genitori, insegnanti e organi mediatici. La bambina e il nazista ottiene più risultati di troppe parole inutili che si stanno spendendo sul tema.
Ma soprattutto, qui c’è un libro che stupisce ad ogni nuova svolta della trama, e avvince, avviluppa, stringe il cuore nella completa identificazione con le sorti dei personaggi, anche quelli negativi.
Franco Forte, scrittore, sceneggiatore, giornalista e militante coraggioso dell’editoria nazionale, e Scilla Bonfiglioli, apprezzata autrice oltre che attrice e regista teatrale, uniscono i talenti per una ricostruzione epica del Götterdämmerung, il crepuscolo degli dei della nazione che ha contribuito in maniera ignominiosa a fare del XX secolo l’ennesima tappa orrenda della Storia.
Franco Forte e Scilla Bonfiglioli, La bambina e il nazista (Mondadori, pp. 314, Euro 19,00)