Migranti dall’Africa sulle Alpi, lassù qualcuno prova a salvarli

Il giornalista e scrittore Maurizio Pagliassotti in “Ancora dodici chilometri” documenta il cammino, spesso fatale, tra Claviere e Briançon. E un mondo che soccorre

Migranti dall’Africa sulle Alpi, lassù qualcuno prova a salvarli
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1 Dicembre 2019 - 18.48


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I migranti verso l’Europa non muoiono soltanto nel Mediterraneo. Muoiono, chissà quanti, anche molti di coloro che dall’Italia cercano di raggiungere la Francia attraversando le Alpi sotto la neve con vestiti e scarpe tragicamente inadeguati al freddo laddove una simile mancanza può portare all’assideramento. I corpi emergono d’estate. Ma nel buio della notte e nelle difficoltà della montagna tanti cittadini, compresi membri delle forze dell’ordine, non hanno abdicato al principio di umanità e soccorrono come e quando possono questi ragazzi in ciabatte infradito nel gelo e smarriti nel buio.

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Lo racconta un libro che chi ha letto ritiene drammatico, sconvolgente, toccante e al contempo carico di speranza e di risposte a dispetto di chi pratica l’odio verso chiunque non risponda a quei canoni e a quegli ordini: lo ha scritto il giornalista e scrittore Maurizio Pagliassotti e si intitola Ancora dodici chilometri. Migranti in fuga sulla rotta alpina (Bollati Boringhieri, pp. 218, € 16, prefazione di Andrea Bajani). Su questo testo Tomaso Montanari, storico dell’arte che non si presta a entusiasmi facili, sul Venerdì del 29 novembre ha invece impiegato parole entusiaste: «Un libro terribile e bellissimo che non si riesce a leggere tutto di fila perché spesso i racconti, i fatti, le testimonianze sono troppo intensi». E conclude la sua recensione osservando che «mentre gli africani inseguono la sopravvivenza, gli italiani della montagna inseguono la propria umanità. E la dignità di noi tutti». Coglie quindi un elemento cruciale nel libro e nell’autore di libri come Chi comanda a Torino del 2012 e Sistema Torino Sistema Italia del 2014: lasciar morire o ricacciare nell’incubo gli altri è un atto di disumanità che corrode innanzi tutto chi lo pratica. E a leggere recensioni e articoli su questi dodici chilometri in vetta vengono in mente i racconti di chi durante la seconda guerra mondiale, soprattutto se ebreo, cercava di raggiungere la neutrale Svizzera per scampare ai nazisti, ai fascisti, e come l’essere respinti significava quasi certamente la morte.

I dodici chilometri «separano Claviere, l’ultimo paese italiano prima del confine, dalla cittadina francese di Briançon, attraverso il passo del Monginevro», informa la Bollati Boringhieri: «Da quei dodici chilometri – prosegue la nota della casa editrice – passa un’intera umanità che cerca la salvezza come i polmoni cercano l’aria. È un’umanità che non si può fermare, che non conosce ostacoli, infinitamente più forte e motivata di noi. Il loro percorso è iniziato mesi prima, a molte migliaia di chilometri di distanza. Dal ventre dell’Africa, masse di uomini e donne in fuga da guerra e fame, senza nulla da perdere, hanno affrontato la savana, hanno attraversato il Sahara, sono stati rinchiusi e torturati nei campi di internamento libici, sono saliti su barconi a malapena in grado di stare a galla e sono poi stati trattenuti in centri di raccolta italiani. Poi, alla spicciolata, sono arrivati fin quassù, a Claviere, in fuga anche da un’Italia che non li vuole e in cerca di un nuovo inizio, proprio come fecero, su quegli stessi dodici chilometri, i nostri emigrati del dopoguerra».

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Pagliassotti ha percorso quei sentieri, ha ascoltato, ha intervistato migranti, volontari, militari perfino che aiutano e soccorrono i migranti magari fuori turno. «Ciò che voglio fare nelle prossime pagine è togliere la speranza – scrive Pagliassotti nel sito della casa editrice. – Creare un sentimento che porti alla resa incondizionata rispetto alla speranza che questa armata possa essere fermata. Il razzista e il fascista figli dell’alienazione devono sapere che il loro gioire di fronte ai barconi che affondano o ai migranti che muoiono divorati dai lupi nei boschi delle valli torinesi è solo un passatempo privo di speranza, che gli viene dato al fine di non pensare al suo mondo saccheggiato». E lo scrive dopo aver descritto con una prosa asciutta, nitida, cosa accade.

Così è l’incipit delle sue pagine: «Regna la quiete nel cuore della tenebra. Il viaggio che attende questi uomini radunati in cerchio, che sotto la neve cadente mercanteggiano nell’oscurità, è un viaggio alle origini del mondo, quando la natura tiranneggiava l’essere umano. Cammineranno verso uno stato primordiale di nomadismo migrante punteggiato di pericoli, di nemici, di lupi, di buio. Cento euro per qualche informa-zione, per un andate di qua e poi di là, e poi proseguite dritto, e poi non accendete mai i cellulari, e nemmeno le torce, e non fumate, e non parlate, andate avanti e basta e state zitti. Non una parola sul vestiario inesistente, i mocassini spaiati, non una parola sul posto di blocco che inesorabile attende i venti uomini che partono dalle viuzze di Claviere, direzione Briançon, via Monginevro. Coglioni della vita, bastonati, derubati, sudati da sempre, in cerca di una nuova vita».

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