Qualche sera fa, in una pizzeria di città a metà strada fa il centro e la periferia, una commensale davanti alla sua pizza raccontava sdegnata di una donna su un pullman che aveva urlato “hai fatto bene” a un autista perché aveva scaricato in malo modo una persona di origine palesemente non italiana e la signora urlatrice approvava. La commensale ha ammesso di non aver replicato ad alta voce: nessuno sul pullman lo ha fatto. Si può capire: è difficile affrontare un conflitto se non amate lo scontro, se l’invettiva in pubblico non fanno parte del vostro modo di vivere. È molto difficile reagire e contrapporsi. Tuttavia nel numero di domenica 24 febbraio e tuttora in edicola la Lettura ha pubblicato un lungo articolo di John Freeman dal titolo netto: «L’Abc di una nuova resistenza». Dal testo la redazione ha ricavato una sorta di monito: «Sapere che accadono ingiustizie non basta, si deve trasformare l’informazione in azione, anziché in apatia. È una delle lezioni che vanno tratte dalla nostra epoca».
Cosa scrive e chi è Freeman?
Innanzi tutto chi è? Nato negli Stati Uniti nel 1974, a 35 anni pubblica e dirige la rivista “Freeman’s” che in Italia esce per le Edizioni Black Coffee, che nel numero in arrivo affronta come tema il potere e l’editore-direttore stesso la presenza al Bookpride di Milano venerdì 15 marzo. Il testo sul settimanale anticipa un saggio che probabilmente verrà pubblicato in autunno, “A New Devil’s Dictionary. An Alphabet of Resistance” (Farrar, Straus & Giroux). E in quel testo, l’autore ricorda che «il potere può assassinare brutalmente uomini e donne sotto i nostri occhi e farla franca (…) Può avvelenare ciò che mangiamo e beviamo. Può ingannare gli elettori».
Empatia oggetto di consumo
Già direttore della rivista letteraria britannica Granta dal 2008 al 2013, executive editor del sito letterario LitHub, autore della raccolta poetica “Maps” (Copper Canyon Press 2017), Freeman pensa sicuramente agli Usa di Trump ma pensa anche all’Occidente e al mondo intero: «Sapere che accadono ingiustizie non basta. Dobbiamo imparare a trasformare l’informazione in azione, anziché in apatia, perché è quello che occorre fare in questo momento». A suo parere non basta lanciare tweet o post su Facebook. Anzi, occorre la parte fisica dell’azione, del contestare le ingiustizie: «L’informazione non si limita a spingerci verso l’apatia, ma ne è la causa reale (…) Sappiamo benissimo quello che sta succedendo ma esitiamo a mettere i nostri corpi laddove sono le nostre convinzioni — specie se i nostri corpi sono stati protetti sin dalla nascita dal colore bianco, dalla libertà, dall’assenza di pregiudizi. (…) La nostra apatia ha trasformato la lotta in intrattenimento. La nostra apatia ha trasformato l’empatia in un oggetto di consumo».
Di quale civiltà parliamo?
Il saggista riflette su qualcosa che investe, di nuovo, l’America sostenuta da Trump e vale benissimo per una folta fetta di persone nella penisola italiana e nel continente europeo: «Ma di quale civiltà parliamo? Per coloro che sono protetti dal colore della nostra pelle, uno degli strani aspetti della vita di oggi è osservare la paura degli altri, inebriandoci lentamente di quel sollievo malsano che si prova quando ci si dice che stavolta non è toccato a noi. E così il sistema ci mette alla prova. Quanto sei disposto a guardare? Quanto sei disposto a sacrificare per aiutare gli altri? Fino a quando resterai a guardare, senza condannarla, l’indifferenza di coloro che si sentono al sicuro? ». Probabilmente non è affatto una casualità che torni quel concetto di “indifferenza” che è quanto Gramsci deprecava, quanto deprecava lo stesso Dante Alighieri, condannando gli ignavi, quanto più ha ferito bambine qual era Liliana Segre al tempo delle leggi razziali fasciste e delle conseguenti deportazioni nei lager.
Freeman, che a settembre parteciperà al Festival della letteratura di Mantova, non punta affatto su una piattaforma virtuale, perché mantiene «rabbiosi». Al contrario sembra auspicare il confronto fisico, civile, nelle scuole, per le strade, nelle piazze, nelle chiese per chi crede. Non è la risposta a tutto, par di capire, non è una panacea, e quanto abbiamo riportato è un estratto brevissimo da un testo molto più lungo che a sua volta è un brano di un testo più complesso. Tuttavia quel mettere il proprio corpo e la propria forza contro quanto avvertiamo come ingiustizia sembra, per il saggista-poeta, almeno un passaggio per scongiurare gli effetti dell’indifferenza collettiva.