Enzo Verrengia
C’è un solo equivalente contemporaneo della tragedia greca, e s’intitola Assassinio sull’Orient Express. A 83 anni dalla sua prima apparizione a puntate sul The Saturday Evening Post, il romanzo di Agatha Christie serba intatta la sua carica di tormento, sceverato attraverso le unità aristoteliche di tempo, luogo e azione. Con l’apporto catartico di un deus ex machina che si chiama Hercule Poirot. Più la maledizione ancestrale da cui tutto discende: il delitto efferato della piccola Daisy Armstrong, ispirato dal rapimento reale del figlioletto di Charles Lindbergh, il transvolatore oceanico cui stava simpatico Hitler. Sia la bimba immaginaria del libro, sia l’infante in carne e ossa della cronaca accorpano una violenza che dev’essere espiata dal colpevole. La Christie immagina che sia un malfattore di nome Cassetti, ucciso, come ormai si sa, da tutti i sospettati in viaggio da Istanbul, ciascuno dei quali con un movente legato ai fatti pregressi.
Il palcoscenico inamovibile del treno
Il treno, ad onta del suo dinamismo, è una postazione stabile dal punto di vista dei passeggeri. Tanto che Victor Hugo, dopo avervi compiuto un tragitto, scrisse: «Il paesaggio si è messo in movimento», sancendo così la prospettiva di chi guarda dal finestrino. Sono le cose al di là che si spostano, non il convoglio che le attraversa.
Dunque, a bordo dell’Orient Express si crea il palcoscenico inamovibile di una rappresentazione degna di Sofocle, dove tutta l’azione è all’interno dei personaggi. Più che il cinema, è il fumetto che si presta a valorizzare un simile soggetto. Infatti lo sceneggiatore tedesco Benjamin von Eckartsberg cura un adattamento testuale di Assassinio sull’Orient Express ancora più marcato dell’originale. Lo supporta il tratto ineffabile del cinese Chaiko, uno degli artisti di punta sulla nuova scena dei comics. Sotto le sue chine si sviluppa una staticità che diviene cinetica nella narrazione, per rendere in immagini a colori il romanzo della Christie.
Il Poirot di von Eckartsberg e Chaiko si caratterizza come un’icona a se stante, ancora più incisiva nel taglio delle vignette rispetto ai suoi omologhi cinematografici e televisivi, soprattutto il David Suchet della serie britannica.
La forza della manualità
Sfogliare questo Assassinio sull’Orient Express a fumetti, però, non comporta necessariamente le considerazioni letterarie fin qui effettuate. Su una scena grafica mondiale impoverita o distrutta, come tutto il resto, dalla dittatura del digitale, ecco la dimostrazione che si può resistere all’elettronica con la forza della manualità. La combinata degli autori, infatti, riporta i lettori a quel miracolo espressivo che è la “linea chiara” franco-belga, lo stile di Tintin, per intendersi, schiacciata dal bianco e nero impoverito di certi albi “all’italiana”, ma soprattutto dalla sovrapproduzione made in USA, rinfocolata dall’ondata di film sui supereroi.
Qui, invece, si ritrova il piacere dalla fascinazione visiva, la chiarezza, appunto, del racconto e la precisione descrittiva dei personaggi. Non importa che si sappia dall’inizio chi sono gli assassini. Succedeva lo stesso nella tragedia greca, dove responsabilità, obiettivi e inganni dei personaggi erano trasparenti. Questo però non impediva alle folle di accalcarsi negli anfiteatri per assistere allo spettacolo della crudeltà umana.
Benjanmin von Eckartsberg e Chaiko, Assassinio sull’Orient Express (Mondadori, tr. di F. Matteuzzi, pp. 64, Euro 20,00)