Sapevate che , all’epoca, ebbe concreti effetti pratici e fu un caso editoriale senza precedenti il “Canto di Natale” di Charles Dickens? La parabola in forma di romanzo breve pubblicata dallo scrittore inglese nel 1843 sull’avarissimo Scrooge che scopre l’importanza dei doni e della generosità ebbe una genesi complessa, a più sfaccettature, ma volle essere e fu anche un’azione politica. Innanzi tutto il messaggio indirizzato alla borghesia di allora spinse più persone a comprare tacchini per i poveri. E se la “Christmas Carol” in veste di prosa aveva un esplicito intento morale contro lo sfruttamento minorile, l’analfabetismo e leggi inadeguate e ingiuste, il racconto fu al contempo un’impresa editoriale: il libro stampato con disegni e incisioni prima di Natale ebbe un gran successo, benché la pubblicazione a proprie spese non portò all’autore quel risultato economico in cui confidava in vista della nascita di un nuovo figlio e con qualche preoccupazione materiale crescente.
A ricostruire la storia e i retroscena di “A Christmas Carol, in Prose. Being a Ghost-Story of Christmas” è un libro di fine 2018, A Christmas Carol and Other Stories by Charles Dickens“, Oxford University Press, curato da Robert Douglas-Fairhurst, studioso dello scrittore britannico, saggista per testate come il Daily Telegraph, The Guardian, il Times Literary Suplement, New Statesman. In fondo non stupisce troppo vedere come molti temi affrontati dal romanziere siano purtroppo di attualità. Anche in un Paese dove qualcuno al potere ha proclamato di aver addirittura abolito la povertà.
Gli slum di Londra tra povertà e prostituzione minorili
Il sito Literary Hub ha pubblicato un estratto dal volume. Nel brano Douglas-Fairhurst ricostruisce come Dickens abbia iniziato a concepire il racconto sugli spettri del Natale del passato, del presente e del futuro che avvertono Scrooge del pericolo in cui incorre con la sua cieca avarizia e aridità umana. Innanzi tutto lo scrittore aveva visitato una scuola disastrata nei poverissmi sobborghi di Saffson Hill e ne era rimasto scioccato: sporco, pestilenza, bambini trascurati, in condizioni estreme che, per sopravvivere, rubavano o si prostituivano, passavano la notte sotto ponti, viadotti, carrozze, portici, nei sottoscala. Quella povertà, per Dickens, era responsabilità anche della middle class a cui si rivolgeva (i poveri non sapevano leggere) e che voleva scuotere mettendo sotto il naso delle lettrici e dei lettori la povertà a pochi metri dalle loro case e la cecità e sordità di Scrooge.
Non meno urgente per Dickens, scrive Robert Douglas-Fairhurst ricordando una conferenza dello scrittore, era la necessità di educazione scolastica per combattere l’ignoranza che reputava la prima causa della povertà e del crimine.
Un canto scritto solo in sei settimane (anche per motivi privati)
Dickens aveva anche motivazioni private. Per il tipo di contratto con i suoi editori, gli introiti erano in calo, soffriva di tic nervosi e, con la moglie Catherine incinta di un altro figlio, doveva trovare il modo per incamerare più soldi e affrontare le imminenti necessità familiari.
Quando si mise all’opera, registra lo studioso, Dickens scrisse in uno stato di fortissima concentrazione e se all’inizio il “Canto di Natale” era un’auto parodia delle paure di Dickens stesso verso la solitudine, l’infanzia infelice, il desiderio di avere soldi, alla fine l’autore ebbe un’idea di se stesso molto più ottimistica e sollevata. Lo scrittore compose il breve romanzo in appena sei settimane e le ultime pagine all’inizio di dicembre, scrive ancora Robert Douglas-Fairhurst. Il libro doveva in tutti i modi uscire per il mercato editoriale natalizio (un po’ come oggi). Dickens seguì il procedimento editoriale dall’inizio alla fine, mise il libro in vendita a sue spese al prezzo “relativamente modesto di cinque scellini” in una bella rilegatura rossa con quattro incisioni a colori di John Leech e altre quattro in bianco e nero. Il “canto”, una fiaba moderna che doveva strappare “il drago dell’ignoranza” dal suo rifugio, riuscì a vendere seimila copie prima della Vigilia di Natale e anche se lo scrittore incassò “un quarto in meno” dei guadagni sperati, la pubblicazione fu “un successo senza precedenti”.
La fortuna editoriale senza precedenti
Entro febbraio 1844 a Londra circolavano otto produzioni teatrali concorrenti tra loro tratte dal racconto, scrive l’autore del saggio. Qualche lettore e critico annotò, nel 1867, che chi leggeva la storia poi correva a comprare tacchini per i poveri. Vari editori ristamparono storie natalizie di altri loro scrittori (W. M. Swepstone, Horatio Alger, l’autrice di “Piccole donne” Louisa May Alcott con “A Christmas Dream” e “How It Came True”), infilandosi sulla scia del successo dickensiano un po’ come accade oggi quando tanti stampano fantasy o thriller a raffica o come è accaduto con molti romanzi seguiti al “Il nome della rosa” di Umberto Eco.
Negli anni a seguire Dickens rimise continuamente mano a “A Christmas Carol”, correggendo una frase o la punteggiatura, scrive ancora Robert Douglas-Fairhurst. E se le motivazioni da cui scaturì il racconto sono complesse, “il Natale affonda nella sua immaginazione come uno spartiacque” e rimase un tema da cui non si distaccò mai. Oltre tutto il periodo natalizio, ricordavano la figlia Mamie Dickens e il figlio Henry Dickens, era sempre un periodo davvero felice, in casa, con il padre al suo meglio.
Lo scrittore e giornalista inglese, nato nel 1812 in una famiglia che si trasferì presto a a Londra conobbe la povertà, morì nel 1872.