Quante volte, inconsapevolmente, oltraggiamo il “buon gusto”? Obbedendo a mode spesso imposte? Il gusto di abbinare colori, sapori, abitudini, del rispetto per gli altri? Lo oltraggiamo spesso. Lo annota Luca Maria Cristini, architetto di San Severino Marche, con un libretto saporito e ironico, “La roccaforte del buon gusto” (Edizioni Affinità Elettive, 86 pagine, 14,00 euro ) ricavato da una sua rubrica sul mensile di cultura e spettacolo marchigiano “Prima”.
Dai finti stemmi nobiliari sulla camicia “al gracchio dei malfermi altoparlanti grigi, che hanno tristemente sostituito il solenne suono delle campane di nobile bronzo”, dalle “finestre rinascimentali sul davanti, un patio eoliano sul retro e coppi anticati sul tetto” al “panettone farcito con la crema al limoncello e gocce di cioccolato”, Cristini fornisce un campionario di noi italiani esilarante e disarmante al tempo stesso. Su gentile concessione dell’autore, ecco il capitolo sul buffet. Anzi: sul “buffè”.
di Luca Maria Cristini
Una delle forme di ristorazione più in auge in questo scorcio di terzo millennio è senz’altro il buffet. Un pasto rapido, agile, molto economico, che si adatta bene alla
nostra sempre crescente tensione culturale verso il degustare, quale alternativa raffinata al più volgare mangiare.
Non c’è inaugurazione di mostra, presentazione di libro, convegno, che non preveda nel programma stampato laser (o per i meno aggiornati solo gettodinchiostro) un «buffet di degustazione di prodotti tipici». Giovani avvocati rampanti, eterni studenti d’ingegneria, architetti falliti con famiglia al completo, ufficiali di complemento delle varie armi, medici di guardia, mamme al seguito e professori a riposo non si lascerebbero sfuggire un buffet a scrocco anche a costo di sorbirsi un’intera conferenza sulle Devianze caratteriali in età prescolare dei figli di genitori cassintegrati. Esperienze a confronto e prospettive di recupero. Questi professionisti del presenzialismo riescono, anzi, a organizzare in modo magistrale le proprie attività quotidiane in funzione delle ambitissime occasioni di sbafo, tanto che, a casa loro nel periodo che va da metà giugno a metà agosto, non si fa più nemmeno la spesa. Di solito, dopo il caffè, la maggior parte delle signore fa anche man bassa dei centrotavola floreali, perché «Tanto, ormai, là non servono più a nessuno»!
La presenza a convegni diventa poi massiccia se c’è anche la possibilità di accaparrarsi la cartellina di cartone di Banca Marche (ora, dopo i noti accadimenti, sovrastampate Ubi Banca) con due fogli Extra Strong, il programma delle relazioni, il dépliant dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo con gli orari vecchi («così lo finiamo!») e l’immancabile penna che, di solito, non scrive. Una volta era sempre la mitica “Corvina”, vera delizia per i collezionisti di modernariato, oggi introvabile in cartoleria.
Questi assidui frequentatori hanno elaborato raffinatissime strategie per affermarsi in quelle che sono vere agapi di guerra. Carl von Clausewitz farebbe la figura dell’imbranato imbelle di fronte alle rapidissime manovre tattiche degli specialisti
dell’abbuffata. Tutto si gioca su:
• Abilità nella ricerca del tavolo ideale, che deve avere una buona visuale, essere vicino al tavolo delle messi ed essere riparato d’inverno e ventilato d’estate;
• Riflessi pronti e scatto felino, che servono ad arrivare per primi al vassoio dei cannelloni appena serviti, senza perdere di vista l’arrivo del rollé di tacchino;
• Atteggiamento piacione nei confronti dei camerieri e nessuna pietà verso i commensali (il nemico);
• Facciadibronzo incredibile;
• Rapidità da prestidigitatore con le posate (qualcuno sta pensando di organizzare master estivi nelle scuole alberghiere).
Un “rinfresco” diventa così una sorta di zona franca in cui non valgono più le diete e, soprattutto, le buone maniere, del tutto annichilite dall’ansia sbafatoria. C’è chi risale la fila controcorrente pestando i piedi di tutti, chi si sostituisce al cameriere dall’altra parte del tavolo monopolizzando la pinza della bresaola, chi si piazza di fronte alla fiamminga inox delle olive fritte, servendosi direttamente con le mani, mentre sorseggia il suo flûte di prosecco con le dita tutte unte dalle olive all’ascolana.
Quanti di voi non hanno mai preso una gomitata nella milza da una di quelle in apparenza gracili, ossute vecchiette, che sono sempre di fronte al piatto delle mozzarelline, basilico e pachino? In queste resse tipo saldi da Harrod’s il vero professionista del buffet riesce sempre a farsi largo, sgusciando trionfante verso il proprio tavolo, con piatti pieni come le pale del Bobcat in un cantiere di scavo.
Quelli senza facciatosta li vedi impietriti osservare la scena: l’unica possibilità di evitare la spaghettata aglio, olio e peperoncino al ritorno a casa è sperare nell’evangelico «beati gli ultimi» o avere braccia talmente lunghe con le quali, dalla terza fila, poter sottrarre agli avidi professionisti del buffet una fetta di prosciutto crudo.
Elemento immancabile in questi eventi di maleducazione collettiva, è l’inevitabile ansia degli organizzatori, siano essi assessori alla cultura, presidenti di Club service o studiosi di chiara fama, quando il responsabile del catering avverte allarmato che ci sono almeno cinquuanta persone in più del numero previsto, già di parecchio maggiorato, stimando quanti avrebbero ignorato il sacrosanto R.S.V.P. Siamo proprio sicuri che non significhi: Rimpinzatevi Senza Vergogna Perchétantoègratis?