di Delia Vaccarello
Che cosa ci dicono i fatti della Catalogna? Perché una parte dei giovani appoggia il movimento? E che sta succedendo nelle famiglie, tra gli amici? E’ certo che si assiste a compagini che si sfasciano, a famiglie di separati in casa, a gruppi di amici che non si parlano più. Chi sta da una parte e chi dall’altra. Per una parte dei giovani che scendono in piazza lottare per l’indipendenza rappresenta la possibilità di aumentare il tasso di democraticità catalana, rompere il rapporto con la monarchia, avviare un welfare diverso. Una parte dei giovani crede che l’indipendentismo possa essere inclusivo delle differenze, e quindi promuovere il femminismo e dire no alla xenofobia. Ma intrecciate a queste correnti ce ne sono altre. C’è il nazionalismo e la spinta squisitamente economica, il desiderio che la Catalogna ricca vada per la sua strada. In questo senso gli indipendentisti fanno pensare ai nostri leghisti. Solo fermandoci alla questione chiusura o apertura nei confronti delle differenze vediamo che il tema coinvolge tutti, tra cui noi italiani che dinanzi al fenomeno degli sbarchi ci troviamo costantemente divisi tra chi comprende il diritto e il desiderio di migrare e chi invoca i muri. Entra nel vivo della questione catalana il libro edito da Manifestolibri “La Catalogna indipendente” di autori vari, curato da Riccardo Antoniucci. Se ne è parlato a Roma tra gli altri con Nuria Gibert (portavoce nazionale della CUP, Candidatura d’Unidat Popular) . “La situazione è complessa”, commenta Giansandro Merli di Dinamopress tra gli organizzatori. – Oggi vogliamo approfondire alcune dinamiche anche al di là della indipendenza. In queste settimane abbiamo visto attacchi al diritto di voto e di manifestazione, e le violenze a Valencia da parte di gruppi di neonazisti. Non c’è dubbio che stiamo dalla parte di chi vuole votare e manifestare, il tema della indipendenza invece è sicuramente da approfondire”. Il testo fa luce sulle ragioni che hanno portato al “muro contro muro” del referendum del primo ottobre, perché della questione in Europa si sa quasi niente. “Sull’indipendentismo catalano qui in Italia sappiamo ben poco, ancora meno su quello di sinistra. Quando leggiamo qualche articolo sulle posizioni che rivendicano l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna, normalmente sembra di leggere vecchi articoli sull’Italia al tempo del secessionismo della Lega nord: folclore autoctono ed egoismo sociale. Una regione ricca ed evoluta, stanca di “pagare con le sue tasse” il mancato sviluppo delle regioni povere. Anche qui Nord contro Sud. La situazione della Catalogna è invece profondamente diversa – leggiamo nell’introduzione -, sia perché in ogni caso stiamo parlando di una regione con una storia (e una lingua) specifica e non di un’invenzione cialtronesca nata alle sorgenti del Po, sia per la presenza, significativa, di una componente di indipendentismo (e non nazionalismo) di sinistra radicale”. Innumerevoli i quesiti. E’ possibile un “processo Costituente” capace di fondare “una Repubblica garante dei diritti sociali, femminista, accogliente nei confronti dell’immigrazione”? Per noi osservatori gli spunti che si aprono sono molteplici. Ci chiediamo con quali linguaggi arrivi a noi il movimento che sta riempiendo le piazze. Ci chiediamo quanto le aspirazioni di sinistra siano ritenute realizzabili o quanto siano invece frutto di “un atto di fede più che di analisi articolate”. E’ vero, però, che un popolo e un paese sono fatti di voci. Allora non può non colpire il senso di questo incipit: “Se l’indipendenza della Catalogna potesse essere raggiunta mediante un processo di selezione di paesi che vogliono essere liberi, già nel primo minuto del primo colloquio noi catalani diremmo con orgoglio che siamo un popolo storicamente composito, eterogeneo. Per poi asserire, con gran vanto, che siamo un paese tollerante nei confronti della diversità – scrive Gerard Nogués Balsells nel saggio “Un paese diverso” – Non è trascurabile che un paese si presenti con questo biglietto da visita, che dimostra la necessità storica che i catalani e le catalane sentono di proclamarsi come società aperta e plurale in contrapposizione all’idea di uno Stato spagnolo omologante e omologato”. Utopia o programma, arriva tutta la passione di coltivare l’idea di una società che senta la vocazione alla biodiversità e alla fertilità culturale, che si apra all’Altro, che stia lottando per tutto questo.