Questa è una delle esercitazioni svolte dalle studentesse e dagli studenti che stanno frequentando il laboratorio di giornalismo, tenuto dal Professore Maurizio Boldrini. Sono da considerarsi, per l’appunto, come esercitazioni e non come veri articoli.
di Margherita Degani
Vincitore di un Golden Globe, quattro European Film Awards, un Premio BAFTA, otto David di Donatello e otto Nastri d’argento, nonché terzo classificato al Premio Strega 2010, oggi Paolo Sorrentino discute il modo, tutto personale, di interpretare il mondo del Cinema.
Parliamo delle sue origini: Napoli…
Ho vissuto a Napoli fino ai miei 37 anni e non ci ritornavo da tanto, quindi non è facile trovare le parole per descrivere l’appuntamento con i ricordi. Mi sono scontrato con il massimo della felicità e con il massimo del dolore allo steso tempo. Devo dire, però, che pochi minuti mi sono bastati per ritrovare quei luoghi e fammi sentire come se non me ne fossi mai andato. Infondo 37 anni sono molti. Qui c’è tutto.
Ma c’è anche Roma, che ha segnato profondamente il suo lavoro
Sono innamorato di Roma, anche se molto diversa da Napoli; per chi viene dal Sud, la capitale è una città quasi a Nord, sebbene poi di fatto non lo sia. È piena di voci e colori, di persone che vengono da ogni parte del mondo: c’è chi vuole affermarsi, chi vuole fare la scalata, chi si ferma sempre a parlare, ci si può stordire di cene ed eventi di ogni tipologia. Tutto questo mi diverte e mi stimola. Credo che anche gli aspetti più scomodi e sporchi di una città nascondano la bellezza e viceversa. C’è sempre qualcosa di molto umano e di fragile che vi si manifesta, questo mi interessa più del resto.
Come sono cambiate negli anni?
Napoli cambia poco e se da un lato è rassicurante, dall’altro diventa anche poco invitante. Perché le novità fanno parte della bellezza della vita. Il protagonista di E’ stata la mano di Dio, ad esempio, se ne va per scappare dalla sua tragedia; lì si era concentrato il massimo del dolore e la sua sopportazione ha una durata limitata. La fuga è ciò che molte persone adottano per superare la sofferenza. Io non me ne sono andato per stanchezza, ma forse a causa di una sorta di paura…è una città che va presa solo di petto.
Roma invece è sempre la stessa, senza contemporaneamente essere più quella di prima. Sembra assurdo, ma questi due aspetti non sono in contraddizione l’uno con l’altro. Perlomeno non qui.
Parlando dei suoi film. Quanta verità c’è nelle storie che le sue pellicole descrivono?
La realtà è sempre importante, sì. Ma dev’essere reinventata e passare attraverso un filtro, perché il film non può mai corrispondere in tutto e per tutto alla vita vera. La reinvenzione di cui è capace Napoli è molto importante e divertente per chi la osservi; crescervi mi ha aiutato, in un certo senso ho rubato questa abilità facendola mia. Rubo quello che vedo, tra la città e la gente, trovando ispirazione per personaggi e storie.
E cosa può dirci del rapporto con il mondo che racconta, quello attorno a lei?
L’unico modo che conosco di stare al mondo è legato all’ironia. Accanto all’ironia, se dovessi trovare altro, direi la calma, la frustrazione e la malinconia. Sono tutti degli stimoli per un nuovo lavoro, perché spingono al desiderio di dimostrare qualcosa, di sbalordire
I film che lo hanno ispirato?
Un film che ho visto da ragazzo e che mi ha fatto innamorare del cinema, essendo un messaggio d’amore a quello stesso ambiente è Nuovo cinema Paradiso di Tornatore. Mi ha molto impressionato, mi ha fatto scoprire quanto il cinema possa influenzare la vita. Poi aggiungerei Effetto notte di Truffaut, che racconta in modo preciso e affascinante la gioia, cos’ come la parte più miserabile, del set cinematografico. E Otto 1/2 di Fellini. Un film perfetto su come relazionarsi alla vita e all’arte, un film di crisi che forse proprio per questo si coniuga bene con l’età dei 18-19 anni. Li guardavo sempre da solo, a casa, steso sul divano… faccio parte di quella generazione che ha scoperto il cinema soprattutto attraverso il formato della cassetta.
Perché dedicarsi proprio al cinema?
Sono un autodidatta, lo dico subito. Non ho propriamente studiato cinema. L’ho appreso guardando film e poi leggendo testi di critica, libri su (o di) registi famosi e così via. Ho scoperto da solo generi e artisti del settore che avrebbero potuto interessarmi, ecco. L’ho fatto perchè, un po’ come la filosofia, il cinema può dire e studiare tutto. Questo mi emoziona, anche se un sentimento forte a volte può diventare una trappola in questo campo
Qual è il rischio in quel caso, l’elemento da evitare nella ricetta per un buon lavoro?
Il rischio è di diventare retorici, esattamente quello che si deve evitare nella creazione dei mondi paralleli. Personalmente, non mi piace. Per mantenere la capacità di emozionarmi senza sconfinare, cerco di rimanere neutro il più possibile, cerco di osservare con distacco. Nel mio lavoro è fondamentale…a pensarci bene, per osservare bisogna anche avere la capacità di annoiarsi. Più si è annoiati e più si creano cose buone, che nascono dallo stimolo a creare realtà nuove, differenti, per superare quella noia o per cambiare ciò che non piace.
Parliamo del suo recente successo, E’ stata la mano di Dio. A chi la vorrebbe dedicare in modo particolare?
Spero che lo vedano i giovani. Anche scavare nei miei ricordi ed intraprendere questo viaggio nel passato è legato alla volontà di raccontare questa memoria ai miei figli. Perché in questo periodo così complicato credo che l’idea di futuro possa mettere paura ed essere difficile da immaginare per loro. Quello che il film vuole mostrare è un concetto semplice: infondo alla fatica e al dolore c’è sempre una prospettiva di futuro, anche se non si vede.
Cos’ha in comune con l’altro suo grande capolavoro, La grande Bellezza?
Pur nelle evidenti diversità, sono simili perché sono il risultato di due periodi gioiosi. E penso che la felicità respirata sul set influenzi il buon esito della pellicola, nonostante il secondo sia stato girato durante il periodo Covid. Vitali, gioiosi e felici…credo di poter dire lo siano stati per tutti coloro che hanno collaborato. In più, parlano entrambi di meccanismi intrinsecamente legati alla vita, con un grado di commozione molto forte in certi punti.
Ormai è il sesto film che realizza con Toni Servillo. Qualche parola sulla vostra amicizia…
Scrivo semprele parti pensando a Toni. Senza che questo si traduca in una limitazione perché ha mille risorse e sa adattarsi perfettamente al ruolo. E’ coraggioso sul set, un attore già importante quando ci siamo conosciuti e, di conseguenza, esigente. Fin da subito mi ha insegnato a migliorare nel mio lavoro, per stare al passo. Ma soprattutto, gli voglio molto bene: quando ho chiesto consigli mi ha sempre risposto come avrebbe fatto un padre.
Programmi per il futuro: ha in mente qualche produzione americana?
Non posso rispondere con certezza. Come potrei dirlo? Certo, ho rifiutato più volte delle offerte in tal senso perché ho sempre avuto paura di fare film con loro. La questione “dell’invasività” e delle pressioni non è solo una chiacchiera.
Girano voci su un film che ritragga Berlusconi. Lo vedremo presto al cinema?
Ora sono impegnato in altri progetti che stanno assorbendo completamente il mio interesse. Però è una delle cose che abbiamo messo in tavola, sì. Resta ancora a livello embrionale.
E per quanto riguarda le prospettive del cinema, è positivo?
Uno dei rischi che posso riscontrare è quello del politically correct, che per l’arte è fortemente limitante se si considera che la stessa nasce da un istinto di scorrettezza. Però credo anche che il bisogno di raccontare storie sia insopprimibile per gli esseri umani. Cambieranno le forme, ma non la sostanza di questa necessità. Quindi sono ottimista, una via per il rinnovamento si troverà sempre.