di Agostino Forgione
Il vento dell’intifada soffia anche tra gli studenti dell’Università di Siena. Al pari di quanto è accaduto nei maggiori atenei di tutta Italia, anche nella città del Palio le tende di decine di manifestanti hanno occupato gli spazi antistanti le università, rivendicando azioni a sostegno del popolo palestinese e la condanna verso Israele. A promuovere “l’Acampada” è stata l’associazione studentesca Cravos, i cui esponenti sono stati più volte intervistati dal nostro giornale.
Tutto è partito lunedì 13, quando le prime tende sono state piantate all’ingresso del Polo Mattioli. Da lì la richiesta di un confronto con i rettori dell’Università di Siena e dell’Università per Stranieri, declinata da entrambi a causa di impegni di lavoro. Tra le maggiori richieste avanzate ai senati accademici la rescissione degli accordi di partnership con le università israeliane, nonché con le aziende belliche implicate nel conflitto, prima fra tutte la Leonardo, e maggiore sostegno agli studenti palestinesi per mezzo di sovvenzioni e borse.
Oltre a ciò è più recente la richiesta di una commissione etica che vagli gli accordi con le sopracitate Università. “In seguito alla mancata trasparenza dell’università di Siena sui suddetti accordi, stiamo valutando di proporre al senato accademico di istituire una commissione etica composta da docenti, ricercatori, personale tecnico amministrativo e studenti, con il compito di esaminare e rendere pubbliche tutte le informazioni inerenti agli accordi che l’Università degli Studi di Siena ha stretto con Israele, con le sue Università, società o aziende, e le imprese produttrici di armi” afferma Samuele Picchianti, membro del Comitato Palestina, nonché presidente del Consiglio Studentesco dell’Unisi.
A seguito delle risposte ottenute dai Rettori, ritenute insufficienti, martedì 21 i manifestanti si sono spostati nella corte del palazzo del Rettorato, cuore dell’istituzione universitaria senese. Ad oggi le tende non sono più presenti. Abbiamo intervistato alcuni studenti per chiedere la loro opinione sulla questione più focosa, ovvero l’interruzione dei rapporti tra il nostro Ateneo e quelli israeliani.
“Ho partecipato all’acampada – afferma una studentessa di filosofia – e mi chiedo perché il rettore non abbia voluto fornirci copia degli accordi intrattenuti con le università israeliane. Questo mi fa pensare che voglia nascondere qualcosa. A ogni modo non credo sia giusto fare tabula rasa, rescindere ogni singolo accordo. Se avessimo avuto modo di leggerli avrei potuto dirti di più. Tuttavia è pure necessario dimostrare a Israele il nostro dissenso, e interrompere le partnership è un modo. Poi c’è da dire che le università israeliane non hanno mai preso una netta posizione in merito al conflitto per cui, in un certo senso, ne sono co-responsabili.”
Di diverso parere è Ludovico che dice: “Di fronte ad un’assenza di mediazione anche noi dobbiamo comportarci nello stesso modo? Credo che le persone che difendono Israele oramai siano sempre meno, non solo per la strage umanitaria che sta commettendo, ma anche per come si è chiusa in sé stessa. Personalmente non vedo nell’isolare le Università israeliane una soluzione quanto un problema. È nelle università che avviene la costruzione del sapere, del dibattito, delle opinioni. Il rapporto con l’esterno è essenziale per potersi misurare con altre opinioni, per potersi confrontare, per avere anche maggiore capacità di mettersi in dubbio. Magari pecchiamo un po’ entrambi di sano ideale: isolare per una battaglia di giustizia sociale e credere in un potere salvifico delle università e della cultura”. Infine una battuta al volo di Erica:”Tagliare i ponti isola entrambi e basta, eliminando ogni possibilità di dialogo. Non capisco poi cosa c’entrino le università, che son luoghi di studio e cultura”.
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