di Marcello Cecconi
Ieri pomeriggio. nelle aule del Dispoc dell’Università di Siena, si è parlato della guerra fra Russia e Ucraina. L’incontro, o meglio l”assemblea, come l’ha definita Maurizio Boldrini, docente del dipartimento che l’ha promossa insieme a un nutrito gruppo di colleghi, aveva al centro il tema della guerra nelle sue sfaccettature riguardanti la comunicazione. L’evento con titolo “Propaganda e censura in tempo di guerra” è stata un’occasione importante per incontrare studenti e docenti e riavere, dopo qualche tempo, più di centocinquanta presenze fra la sala del San Niccolò e lo streaming.
Nell’aprire il dibattito, Maurizio Boldrini, docente di storia della comunicazione e del giornalismo, ha ricordato come dovrebbe essere proprio l’Università uno dei luoghi dove in automatico “discutere liberamente senza schemi ideologici” di eventi come quello che stiamo vivendo. Preoccupato per la difficoltà di riflessione che la pandemia ha causato, ha spronato i giovani studenti a reagire a questi anni di negatività e a fare qualcosa per questa guerra vicina e terribile che abbiamo difficoltà a decodificare attraverso il mare di immagini. “Una propaganda esercitata per premere molto sulle persone – ha detto Maurizio Boldrini – e io ho la sensazione di assistere a qualcosa che avviene in un mondo parallelo, propaganda funzionale a Putin perché ci fa dividere in contrapposizioni culturali che ci portano a confliggere schierandoci”.
Anche Rossella Rega, docente di giornalismo e nuovi media, ha concordato con la “cacofonia di voci e la difficoltà di orientamento” che deriva dalla polarizzazione dell’informazione nell’intento di creare simboli per semplificare il messaggio. Rossella Rega ha sostenuto che ogni guerra ha avuto sempre i propri simboli ma che ognuno, con i propri strumenti di conoscenza, dovrebbe andare oltre quei simboli per superare la polarizzazione e capire quello che abbiamo di fronte. A suo avviso la cattiva gestione dei consensi durante guerre come quelle dell’Iraq ha insegnato ai governi a comunicare una “guerra più pulita”, una guerra che oggi è ibrida fra piattaforme e territorio. Ha spiegato che nota una differenza di stile comunicativo fra Zelensky e Putin, con il primo “attivo sui social ha disintermediato il messaggio comunicando direttamente ai concittadini, postando video per rassicurare con la sua certa presenza sul territorio, mentre Putin si affida a comunicazione ingessata con le classiche ufficiali conferenze stampa”.
Tarcisio Lancioni, docente di semiotica, si è soffermato sul linguaggio e su come, attraverso lo stesso, si modifichi la società. Ha ripreso la visione di Rossella Rega cercando di spiegare come i due attori in campo, Zelensky e Putin, non parlano fra loro ma a due pubblici diversi e che per questo hanno diverse strategie. Putin si rivolge solo al suo popolo con la narrazione russa che racconta l’Ucraina e il pericolo che la stessa rappresenta per la Russia, “argomenti sufficienti a giustificare qualsiasi azione per arrestare un criminale e fermare le sue operazioni naziste”, mentre Zelensky, che non esisteva e che si è affermato nella recitazione, presenta una narrazione di eroe assoluto attraverso una costruzione sapiente diretta a tutto il mondo occidentale. Tarcisio Lancioni ha affermato che “la propaganda è sempre quella che fa l’avversario” e che se da un lato Zelensky si è creato un’identità simbolica incarnando in sé stesso tutta l’Ucraina, Putin, dall’altro, si tiene distante dai carrarmati che con loro “z” avanzano simboleggiando una russietà, un’identità di massa.
Il docente di sociologia della comunicazione, Tiziano Bonini, è tornato sulla guerra ibrida sostenendo che questa non è iniziata oggi ma che “si può dire che tutte le guerre sono state ibride, sempre per influenzare l’opinione pubblica di ogni epoca o fiaccare il rigoglio del nemico”. Ci ha ricordato che se prima il monopolio della disinformazione aveva pochi attori istituzionali, oggi è completamente fuori controllo e che non è stata la Cia ad hackerare la tv russa ma Anonymous, un attore non istituzionale che ha interferito con la strategia russa. Ha fatto presente che il sistema della comunicazione è sempre più ibrido e che sarebbe sbagliato etichettare questa guerra come quella di Tik Tok nello stesso modo come era ingiusto etichettare come televisiva la guerra dell’Iraq. Ha invitato a riflettere sulle immagini della guerra che ci arrivano con quei mezzi militari usati per combatterla, che ce la fanno sembrare simile alla seconda guerra mondiale con l’aggiunta della diretta dei social. Ucraini e Russi si sfidano creandosi problemi a vicenda ai mezzi comunicazione in un campo di battaglia con appropriazioni di simboli e narrazioni. “…del resto – ha concluso Tiziano Bonini – anche l’inviato di guerra, pur reale e concreto, sta raccontando un proprio punto di vista. Nessun male, bisogna guardare oltre e mantenere la distanza critica”.
Molti interventi dalla platea e “a distanza”. La docente Gabriella Piccinni ha espresso disappunto e rabbia per l’immobilità degli intellettuali di questa Università di fronte agli avvenimenti; rabbia per gli insufficienti strumenti a disposizione per capire una situazione che da tempo esisteva e che sembra scoperta da tutti solo con la guerra di oggi; rabbia perché ancora una volta le donne, in questa guerra, sono solo simboli. Un’altra docente, Loretta Fabbri, ha chiesto all’Università di fare di più, di discutere come oggi e più di oggi e ha attribuito ai giornalisti la responsabilità di una semplificazione dei simboli di questa guerra.
La docente Anna Carola Freschi ha invitato ad andare oltre quello che è il problema della comunicazione chiedendo un coinvolgimento di tutti i settori disciplinari universitari e ha riportato la sua visione dei due leader: personaggi in conflitto generazionale con Il più giovane ucraino a rappresentare il nuovo est moderno post sovietico e filoeuropeo e il più anziano russo a rappresentare l’est arcaico, conservatore e violento.
Ci sono state poi gli interventi e le domande degli studenti che vanno dal ruolo in questa guerra del collettivo degli hacker Anonymous a come dalle immagini e narrazioni si vede abbastanza della potenza dell’esercito russo e molto meno dell’esercito ucraino. Si è parlato della retorica intorno alle sofferenze delle popolazioni in guerra e in migrazione e come questa sia diversa oggi rispetto a quella della guerra meno “occidentale” , e quindi non di prossimità, dell’Afghanistan. Si è cercato spiegazioni intorno alle notizie di paventate chiusure di internet e dei social in Russia. C’è chi ha notato come l’immagine della costruzione di bottiglie molotov sia oggi considerata eroica mentre quando le stesse cose le facevano i palestinesi venivano considerati terroristi, e chi ha ancora posto il focus su come sia enorme la differenza fra i mezzi tecnologici di comunicazione impiegati in questa guerra in contrasto a tecniche militari superate.
Tiziano Bonini, nei pochi minuti a disposizione per la chiusura, ha provato a dare risposte, soffermandosi su concetti che meritano sicuramente un approfondimento in futuro. Ma è stato del tutto evidente che per dare risposte soddisfacenti serviranno studi e ricerche. E altri incontri come questo.