di Marcello Cecconi
“Si può cancellare la cultura?”. Questo sarà il tema di un incontro che il Dispoc (Dipartimento di Scienze sociali, politiche e cognitive) dell’Università di Siena, in collaborazione con il Santa Chiara e con la nostra redazione, ha organizzato per domani, giovedì 21 ottobre, a partire dalle ore 15.
In attesa dell’intervento dei convegnisti abbiamo raccolto alcuni pareri di studiosi e giornalisti. Ecco quello del Prof. Marco Ventura, giurista docente di Diritto ecclesiastico e di Religione e comunicazione presso l’Università di Siena. Ha pubblicato molti lavori sul tema religioso, l’ultimo è Nelle mani di Dio. La super-religione del mondo che verrà Ed. Il Mulino (pag. 192 – Euro 14,25). Ecco come ha risposto alle nostre domande:
Che idea si è fatta del fenomeno “cancel culture”? Lo vede come l’inizio di un periodo di revisionismo forzato che avrà conseguenze sulla cultura e informazione in generale o come una moda mediatica destinata a scomparire rapidamente?
Non sono uno storico, ma ho l’impressione che sempre nei periodi di transizione l’avvento del nuovo si accompagni con strategie e tecniche di cancellazione del vecchio. Pensiamo alla cancellazione dei simboli del nazifascismo dopo la seconda guerra mondiale o del comunismo dopo la demolizione del muro di Berlino. Forse oggi il fenomeno è amplificato dalla trasformazione digitale e dalla comunicazione globale.
Prevede che questa forma particolare di revisionismo possa avere ripercussioni nel diritto ecclesiastico?
La sostituzione di forme linguistiche con altre politicamente gradite alla maggioranza (o minoranza?) capace di imporsi ha un impatto sul rapporto tra la libertà religiosa e la libertà d’espressione. Negli ultimi decenni le autorità religiose hanno temuto la libertà d’espressione perché veicolo di blasfemia, soprattutto attraverso la satira. Oggi le autorità religiose invocano la libertà d’espressione per difendersi da chi vuole cambiare il loro linguaggio e le loro categorie. È significativa in proposito la protesta del giugno scorso della Santa Sede contro il DDL Zan. Il revisionismo rappresenta poi una minaccia nei confronti della diversità delle comunità religiose minacciate per l’ennesima volta dall’ingegneria sociale di chi vuole che gli altri pensino e parlino come (piace a) loro.
È possibile che la “cancel culture” possa rendere più difficile il dialogo interreligioso?
Da un lato no perché spingerà i credenti gli uni verso gli altri, in difesa gli uni degli altri. Da un altro sì perché accentuerà la frattura tra credenti partecipi e credenti refrattari all’imposizione di un nuovo linguaggio, di nuove categorie e di un passato bonificato.
Resterà un fenomeno, se resterà, limitato all’Occidente cristiano o potrebbe coinvolgere anche altre culture religiose più fondamentaliste? Insomma la Bibbia e il Corano rischiano qualcosa?
La Bibbia «è abituata» a interpretazioni diverse, in evoluzione. Questa sarà una ulteriore tappa. Per il Corano è diverso. Chi lo tocca morirà. E molti dovranno morire prima che venga acquisito (se mai lo sarà) dai musulmani un approccio più possibilista sull’interpretazione del testo sacro. Dubito tuttavia che gli attivisti della revisione linguistica e categoriale, per non parlare della cancellazione del passato, abbiano il coraggio di prendere il benché minimo rischio verso chi può far loro del male. Il loro humus è la condiscendenza del potere, la loro vittima è il pavido. Non si azzarderanno a toccare i musulmani.
In Italia sono soprattutto le Università a prendere sempre più le distanze da questo fenomeno e casi come quello americano di Cristoforo Colombo sembrano impossibili. La carta stampata, le televisioni e la rete nostrani si appassionano invece in dibattiti intorno al “politicamente corretto”. Qual è il suo giudizio su questo vezzo?
Le battaglie circolano su scala planetaria. È avvenuto con le culture wars americane. Accade con la “cancel culture”. È difficile capire quando il fenomeno resta in superficie e cosa invece si agita e si modifica in profondità.