"Quinto potere": quando la televisione mette in scena la follia

La pellicola del 1976 di Sidney Lumet, racconta in modo spesso definito profetico il cinismo dei media

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3 Dicembre 2025 - 17.42


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di Gaia Di Lena

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“Questa è la storia di Howard Beale, il primo caso conosciuto di un uomo che fu ucciso perché aveva un basso indice di ascolto”.

La frase di chiusura del film riassume in modo semplice ed efficace il messaggio dell’intera pellicola: un uomo, la cui importanza deriva dalla televisione, muore proprio a causa della stessa. Ma perché? La storia vede come protagonista Howard Beale (Peter Finch), un conduttore impiegato presso l’emittente televisiva UBS. In seguito a vicissitudini traumatiche e all’abbassamento dell’indice di ascolto del notiziario che conduce, Howard annuncia in diretta di volersi suicidare. La sua dichiarazione, che viene subito interpretata negativamente da colleghi e superiori, porta inaspettatamente all’aumento degli ascolti. La responsabile del settore programmi, Diana Christensen (Faye Dunaway), coglie al volo l’evidente momento di instabilità di Howard e lo trasforma nel “pazzo profeta dell’etere”, rendendolo il centro del suo nuovo show-notiziario. Contemporaneamente crea nuovi programmi, arrivando ad accordarsi con un gruppo di fanatici terroristici per avere l’esclusiva su alcune notizie. L’unico contrario allo sfruttamento dell’esaurimento nervoso di Howard è il suo amico Max Schumacher (William Holden), il responsabile del settore notizie. Max si oppone subito alle proposte di Diana, ma questo scontro con lei è causa della nascita di una relazione fra i due.

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Max e Diana sono personaggi opposti e complementari: lui rappresenta la società prima della televisione, prima del controllo così evidente dei mass media, una persona che ancora sente i morsi della coscienza, che tradisce la moglie ma ritorna da lei realizzando l’entità del suo errore e del suo amore, l’unico nell’emittente che riconosce il malessere di Howard e vorrebbe farlo curare piuttosto che trasformarlo in un fenomeno da baraccone; lei figlia della generazione della televisione, ambiziosa in modo machiavellico, stacanovista e manipolatrice, la cui unica soddisfazione deriva da “un indice di trenta e un alto gradimento”. La relazione fra i due termina proprio a causa delle loro differenze di valori e dell’incapacità di amare di Diana; la loro separazione da vita ad una delle scene più forti del film. Lumet in questo caso e non solo si serve di una costruzione drammatica tramite dialoghi intensi, spesso associati anche a spazi chiusi che portano a concentrarsi sul dialogo e alimentano il senso di oppressione morale.

Quinto Potere si unisce alle altre opere attraverso le quali Lumet mette in evidenza la fragilità delle istituzioni spesso cedevoli alla corruzione, si ricordano infatti anche La parola ai giurati(1957) o Serpico (1973). Quinto potere si pone come una delle più importanti del cinema americano, con dieci nomination agli Oscar di cui quattro vinti insieme a quattro Golden Globe.

La pellicola prende questo nome collegandosi all’altrettanto importante film Quarto potere di Orson Welles del 1940. A più di trent’anni di differenza, il messaggio è sempre lo stesso; Welles con la stampa e Lumet con la televisione, i due registi mostrano il potere che i mezzi di comunicazione di massa possono assumere, purtroppo non necessariamente positivo. Quando il monopolio di questi mezzi finisce nelle mani sbagliate, il loro controllo sulla massa può determinare la “disumanizzazione delle persone”.Non è un caso, infatti, che il film termini con la morte di Howard Beale, assassinato dal gruppo terroristico per ordine di Diana e gli altri responsabili dell’emittente, decisione presa freddamente e velocemente per salvare gli ascolti nuovamente in calo del programma condotto dal “pazzo profeta”.

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Le parole del personaggio di William Holden rivolte a quello di Faye Dunaway risuonano forti più che mai: “Tu sei la televisione incarnata, Diana. Indifferente alla sofferenza, insensibile alla gioia. Tutta la vita si riduce ad un cumulo informe di banalità. Guerre, morti, delitti…sono uguali per voi, come bottiglie di birra. (…) Sei la pazzia, Diana: pazzia furiosa. E tutto quello che tocchi muore con te”.

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