Le domus pompeiane 'torremunite'

Un nuovo studio che lega all’archeologia le nuove tecniche di ricostruzioni 3D ipotizza che, anche nel passato classico, le ville delle famiglie più in vista potessero avere delle torri.

Le domus pompeiane 'torremunite'
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21 Ottobre 2025 - 18.51


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Sappiamo con certezza che molte città del centro Italia tra l’XI e il XIII secolo sviluppavano un’urbanistica caratterizzata dalla presenza di alte torri, ad opera delle famiglie che erano più in vista, come simbolo di potere, capacità economica, politica e bellica. 

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Un recente studio, giunto dalla collaborazione tra il Parco Archeologico di Pompei e l’Università Humboldt di Berlino, ha rilevato la presenza di ville dotate di torri anche nella città di Pompei, prima della catastrofe del 79 d.C. che la seppellì sotto una coltre di ceneri e lapilli, fino alla riscoperta Settecentesca. 

Lo studio, guidato da Gabriel Zuchtriegel direttore del Parco Archeologico di Pompei, insieme alla professoressa Susanne Muth professoressa di Archeologia Classica presso l’Università Humboldt di Berlino (Winckelmann Institut), è stato pubblicato sul E-Journal degli Scavi di Pompei, ed ha il fine di ampliare la più classica ricerca archeologica con metodi di archeologia digitale. La ricerca, che trova il via nelle raffigurazioni architettoniche degli affreschi che mostrano strutture a più piani, con balconi, portici e torri, pur non essendo una rappresentazione fedele di come Pompei appariva, potrebbe non essere totalmente distante dalla sua realtà.

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A confermarlo alcune evidenze architettoniche nei resti di alcune domus. La presenza, ad esempio, dei lacerti di una scala monumentale nella Casa del Tiaso, ha fatto ipotizzare che questa potesse condurre ad una torre panoramica, sebbene ben più bassa e modesta di quelle dei panorami delle città medievali. Tale idea parrebbe plausibile, perché sostenuta tra l’altro anche da allusioni letterarie, come la torre di Mecenate da cui Nerone si mise ad osservare l’incendio di Roma, oltre che iconografiche. Dopo una prima fase di documentazione digitale dei resti tridimensionali degli edifici, si passa alla fase di vera e propria ricostruzione e simulazione virtuale, la twin digitale (letteralmente gemella digitale). Attraverso tali ricostruzioni la realtà antica non è solo esperibile, ma fornisce ad archeologi e storici strumenti per studiare e comprendere.

“La ricerca archeologica a Pompei è molto complessa. Oltre a quella sul campo con gli scavi che restituiscono contesti intatti sulla vita nel mondo antico e nuove storie da raccontare sulla tragedia dell’eruzione, esiste anche la ricerca non invasiva, fatta di studio e ipotesi ricostruttive di ciò che non si è conservato, ma che completa la nostra conoscenza del sito”, così ha spiegato Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico di Pompei, e prosegue “La ‘Pompei perduta’ consiste soprattutto nei piani superiori, che sono essenziali per comprendere la vita nella città antica. Mettendo insieme i dati in un modello digitale 3D possiamo sviluppare ipotesi ricostruttive che ci aiutano a comprendere l’esperienza, gli spazi e la società dell’epoca”.

Gli studi che si avvarranno del progetto Pompeii Reset, con la sua componente non invasiva, accostata alla più classica attività di scavo ci permetterà di conoscere sempre di più non solo di Pompei, ma in generale del passato romano, di cui crediamo sapere molto ma che ci riserva ancora sorprese. 

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