Una recente analisi condotta da un gruppo di studiosi ha gettato nuova luce su un capolavoro del Rinascimento italiano. Parliamo di un dipinto, un olio su tavola di pioppo, datato 1504, 46 cm per 34 cm, che ritrae una Maria Maddalena dai tratti affascinanti: capelli scuri, la scollatura quadrata, le dita affusolate, lo sguardo magnetico. Il volto apparterebbe a Chiara Fancelli, moglie del Perugino.
Attualmente, l’opera è parte di una collezione privata all’estero ed è al centro di uno studio destinato a essere pubblicato nella prossima edizione della rivista scientifica “Open Science, Art and Science”, sotto il titolo eloquente di “La Maddalena di Raffaello: Quando l’Allievo Supera il Maestro”.
Il tanto dibattere su quest’opera è dovuto al fatto che si ritiene che l’autore sia Raffaello Sanzio, il celebre allievo di Perugino, che ha poi superato di gran lunga il suo maestro. Questa audace ipotesi ha scatenato un acceso dibattito nel mondo dell’arte, con alcuni esperti che accolgono con entusiasmo questa nuova attribuzione, mentre altri rimangono scettici.
Vittorio Sgarbi, noto storico dell’arte e sottosegretario alla Cultura, ha espresso dubbi riguardo all’attribuzione a Raffaello, sostenendo che l’opera potrebbe essere un prototipo di Perugino. “Non c’è nessuna possibilità che il dipinto sia del maestro urbinate. Si basa su una conoscenza di pochi trattandosi di un’opera in collezione privata, con la legittima aspirazione del proprietario di possedere un Raffaello”, ha dichiarato all’Ansa.
I risultati di questo studio sono stati anticipati durante una conferenza internazionale tenutasi a Pergola (Pesaro Urbino) dal titolo “La Bellezza Ideale – La visione della perfezione di Raffaello Sanzio”. Durante l’evento, hanno condiviso le loro opinioni e ricerche esperti di fama internazionale, come madre Maria Cecilia Visentin, docente pontificia specializzata in iconografia religiosa dell’ordine dei Servi di Maria; Annalisa Di Maria, tra i massimi esperti internazionali di Leonardo da Vinci e del Rinascimento italiano, specializzata nella corrente neoplatonica, e per la parte scientifica, il professore emerito Jean-Charles Pomerol della Sorbona, già rettore dell’Università Pierre e Marie Curie, e Andrea da Montefeltro, ricercatore e scultore. Per loro si tratta “un supremo risultato artistico del Rinascimento italiano”, di un capolavoro di Raffaello riscoperto. Esistono già alcune versioni della Maddalena, autenticate come di mano del Perugino: una si trova alla Galleria Palatina, l’altra a Villa Borghese, che è un lavoro di bottega.
Secondo Sgarbi, risulta “bizzarra l’idea di una Maddalena con le sembianze della moglie del Perugino, come è sospetta la pur legittima propensione di alcuni studiosi a pronunciarsi soltanto su grandi nomi: Raffaello, Leonardo, Botticelli”. Secondo gli altri studiosi, la versione di Raffaello è superiore, dal punto di vista stilistico e tecnico, per grazia e armonia della composizione e per l’uso dello sfumato che evidenza l’influenza di Leonardo da Vinci sul giovane pittore di Urbino.
Uno degli argomenti chiave a favore dell’attribuzione a Raffaello è l’uso della tecnica dello spolvero, un metodo di trasferimento del disegno preparatorio che Raffaello avrebbe utilizzato frequentemente, ma che sarebbe stato raramente adottato da Perugino. Questa distinzione è stata confermata da analisi di laboratorio condotte da A.R.T. & Co, spin off all’Università di Camerino con sede ad Ascoli Piceno. Inoltre, la presenza di “pentimenti” e i materiali utilizzati nell’opera, tra cui gesso, olio, biacca e pigmenti compatibili con la tavolozza di Raffaello, contribuiscono a sostenere l’attribuzione al grande artista urbinate.
Oltre agli aspetti tecnici, lo studio ha analizzato le proporzioni matematiche impiegate da Raffaello, “che conosceva la matematica, a differenza di Perugino”, ha spiegato Annalisa Di Maria. Secondo la studiosa, il quadro si pone come “una svolta: il pittore di Urbino trovò un suo linguaggio, affrancandosi da quello di Perugino”, segnando il momento in cui il giovane artista trovò il suo stile distintivo, superando le influenze del suo maestro. L’opera, sempre secondo la studiosa, mette in luce un altro aspetto di cui “non si parla abbastanza: il legame tra Raffaello e Leonardo”. I due si incontrarono e frequentarono a Firenze, Sanzio ammirò il Da Vici “al punto di immortalarlo come Platone nella sua Scuola di Atene”. Un insieme di analisi che spiegano la capacità di “rendere vivo il modello, di farci vedere la sua anima”, che accomunava sia Leonardo che Raffaello.
Durante la conferenza, che rientra tra i progetti collaterali della mostra nazionale Arcana-Il Leone del Nuovo Orizzonte, è stato anche consegnato il prestigioso premio “Leonardo The Immortal Light” per la sezione Ricerca Culturale al cardinale Gianfranco Ravasi, sottolineando l’importanza di ricerche di questo tipo nel mondo dell’arte e della cultura.