Il pugile in bronzo seduto, stremato, forse stordito dai colpi incassati, mentre si volge alla sua destra come in attesa del verdetto, è opera di artisti greci che hanno lavorato in Italia? Oppure è venuto dal Peloponneso? La scultura ellenistica del II-I secolo avanti Cristo viene dalla stessa officina che fuse il principe con lancia a pochi metri di distanza nella medesima sala a piano terra nel Museo nazionale romano a Palazzo Massimo, adiacente alla piazza dei Cinquecento davanti alla stazione Termini nella capitale? Oppure, come è probabile, i due bronzi di epoca ellenistica sono stati fusi in officine diverse? Per adesso Mirella Serlonzi, responsabile della sede, pone gli interrogativi e se ha qualche ipotesi in mente non la manifesta ai cronisti perché attende i risultati degli esami che arriveranno a settembre-ottobre, grosso modo. La studiosa lascia le domande in sospeso per incuriosire in attesa della prossima puntata, con astuzia degna di una giallista, mentre presenta la riapertura della collezione archeologica dopo la chiusura da quarantena per Coronavirus. La affianca negli onori di casa Alfonsina Russo, soprintendente per l’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Roma.
Da profani non possiamo saperlo, eppure dietro le domande di Mirella Serlonzi si cela una scoperta che manda in visibilio gli archeologi e i ricercatori di archeometallurgia. Nel pugile, che alcuni studiosi avevano attribuito al celeberrimo scultore della Grecia del IV secolo avanti Cristo Lisippo, gli archeologi hanno trovato frammenti minuscoli di terra così aderenti al bronzo che, afferma l’archeologa, “non possono essere residui di terra di scavo”, vale a dire del luogo in cui la scultura è stata trovata a Roma, nell’800 nell’odierna via IV novembre dove si alza il palazzo dell’Ina. Quei residui di terra sono residui della lavorazione “a cera persa” delle sculture in bronzo: sono saltati agli occhi degli studiosi, è sempre l’archeologa a spiegare, perché il pugile è stato poggiato momentaneamente e delicatamente sulla schiena e a gambe all’aria per un “intervento conservativo” che, con l’attuale tecnologia, permette di compiere indagini diagnostiche prima impossibili.
“Sicuramente le due opere sono state fatte da mani differenti”, si lascia andare a voce davanti ai cronisti Mirella Serlonzi, che ha coordinato il lavoro di manutenzione progettato da Anna Rapinesi, direttore dei lavori di restauro del Museo Nazionale Romano. Ha finanziato l’intervento l’associazione senza scopo di lucro “Mecenati della Galleria Borghese – Roman Heritage onlus”. Dal lavoro il museo ha ricavato un video visibile al pubblico.
L’ingresso del Museo Nazionale Romano è in Largo di Villa Peretti 1. Va da sé che con l’emergenza Coronavirus in corso gli ingressi e le visite hanno regole particolari. I biglietti si comprano solo online al sito di coopculture (clicca qui) o tramite call center 06/39967701.
Sempre oggi 17 giugno ha riaperto Palazzo Altemps con una mostra sul pittore De Pisis. Le Terme di Diocleziano e la Crypta Balbi riapriranno il 27 giugno.
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