Sorpresa: il pittore Giorgio de Chirico (1888-1978), con le sue piazze e manichini metafisici, era anche poeta e se la cavava. Ne dà conto un volume con molti testi inediti scritti tra il 1911 e il 1942 e curato da Andrea Cortellessa, La casa del poeta. Tutte le poesie in versi e in prosa in francese e in italiano (La Nave di Teseo, traduzioni dal francese di Valerio Magrelli, pp. 387, € 20).
La casa editrice milanese pubblica la prima raccolta del pittore mentre Palazzo Reale a Milano fino al 19 gennaio 2020 lo omaggia con una retrospettiva curata da Luca Massimo Barbero, uno dei migliori critici d’arte e curatori e conoscitori dell’arte italiana moderna in circolazione.
Il critico d’arte nel brano pubblicato on line dal catalogo vuole peraltro sgombrare il campo da quello che ritiene un equivoco ideologico radicato: «Il mondo di de Chirico è abitato da gladiatori, impegnati in combattimenti farsa, dai corpi deformati come gomma fusa, colli ipertrofici, giochi tra animali preistorici e abitanti di Marte che si aggomitolano e s’imbrogliano l’un l’altro: essi sono l’antitesi di quella sorta di stigmatizzazione che qualcuno ha voluto vedere in un de Chirico italico e fascista».
Torniamo al de Chirico poeta. Sulla Lettura in edicola questa settimana Roberto Galaverni vede nell’artista che visse a Parigi dal 1911 al 1915 gli influssi di Baudelaire, di Rimbaud; trovaa in quelle pagine il frutto dell’amicizia con quell’intellettuale e motore di spinte artistiche del tutto nuove d’inizio ‘900 quale fu Apollinaire; vi trova, dal 1916, un autore aggiornato sulla poesia italiana. Galaverni esprime un giudizio tutto sommato positivo. Il critico vede soprattutto in quelle poesie una nitida ed evidente corrispondenza verbale dell’opera figurativa. Avete presente i dipinti di piazze vuote con statue? I treni sbuffanti all’orizzonte dei suoi quadri? De Chirico nel 1917 nel testo L’ora inquietante scrive: «Tutte le case sono vuote / risucchiate dal cielo aspiratore. / Tutte le piazze deserte. / Tutti i piedistalli vedovi. / Le statue – emigrate in lunghe / carovane di pietra / verso porti lontani. / Strane iscrizioni sorgono a ogni quadrivio. / Avvertimenti funebri di non andar più oltre».
Oggetti e mistero. Un marchio del pittore. Pittore che Barbero reputa «un antesignano e un anticipatore; quando nel dopoguerra la linea tracciata da “Valori Plastici” (rivista d’arte sulle avanguardie di grande influenza culturale e pubblicata dal 1918 al 1921, ndr) invita a rifarsi ai primitivi, egli è già oltre: ha già ampiamente citato Giotto negli anni ferraresi, ha gettato le basi per il futuro surrealismo e ora è pronto per la vera pittura, quella palpitante degli anni venti, popolata di archeologi, manichini, cavalli al galoppo su spiagge di gesso e interni colmi d’oggetti».
La mostra milanese, allestita in otto sale disposte per temi e accostamenti, è promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, da Palazzo Reale, da Marsilio e da Electa, in collaborazione con la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico e la società di consulenza Barcor17.