Ste. Mi.
Dario Franceschini torna a guidare la cultura. L’esponente dem, uno dei “pontieri” che ha lavorato per l’accordo Pd-M5S, riprende il ministero per i Beni e attività culturali e con delega sul turismo: giusto, inopinatamente e insensatamente la materia turistica era stata trasferita e accorpata al dicastero delle politiche agricole, alimentari e forestali dal governo gialloverde. Ragionevole invece unire il patrimonio artistico alla gestione del turismo, le rispettive politiche vanno integrate l’un con l’altra. Anche se non si spostò di ufficio, formalmente Franceschini diventa ministro per la terza volta perché lo fu nel governo Renzi, dal 22 febbraio 2014, e poi confermato nel governo Gentiloni per restare al Collegio Romano, sede del dicastero, fino al primo giugno 2018.
Rimediare al pasticcio sul ministero da Bonisoli
Cosa trova sul tavolo, il politico ferrarese, già proveniente dall’area Dc, nato nel 1958, autore della riforma del 2015 che ha conferito autonomia a molti musei statali, dagli Uffizi a Brera, dalla Galleria Borghese a Capodimonte? Innanzi tutto dovrà sistemare il pastrocchio combinato dall’ex Alberto Bonisoli, M5S sulle strutture del ministero stesso, ovvero su chi gestisce, tutela e deve promuovere il patrimonio storico artistico: una riforma della riforma di Franceschini sul ministero e le soprintendenze che, lo scrivono e dicono tutti i commentatori, ha scontentato tutti, penta stellati compresi. Una riforma accentratrice, ovvero che ha rafforzato i poteri della struttura centrale del ministero, e con altre conseguenze collaterali, anzi dirette e volute: togliendo i consigli di amministrazione ai musei autonomi creati da Franceschini ha sottratto loro autonomia a dispetto delle dichiarazioni difensive di Bonisoli.
Il quale Bonisoli ha anche accorpato nuove direzioni territoriali in modo poco sensato: per esempio ha accorpato in unico organismo Lombardia e Veneto, regioni con patrimoni artistici e paesaggistici stupendi, di proporzioni gigantesche; ha accorpato Abruzzo e Molise togliendo alla seconda ogni autonomia regionale mentre ha caricato ulteriormente gli uffici abruzzesi, nella sede dell’Aquila, già gravati dalla gestione post-terremoto del 2009 e, nella regione, del post-terremoto 2016-17. E la Basilicata? Si è vista sottrarre la direzione regionale, proprio nell’anno di Matera capitale della cultura europea, trasferendola a Bari. Nel capoluogo lucano non l’hanno presa bene. I soprintendenti poi dovranno far capo alle direzioni generali (da quella generale a chi si occupa per i musei) molto più di prima, lasciar decidere a loro, perdono autonomia.
Al di là dei dettagli, ci risulta però che smantellare la riforma Bonisoli del ministero non sarà così semplice: il ministro ha varato un “Dpcm”, un decreto del presidente del Consiglio dei ministri, e quindi ci vuole tempo. A meno che non si provveda con un “Dpr”, un decreto del presidente della Repubblica. Che però dovrà intervenire prima su altre emergenze-urgenze, innanzi tutto i decreti sicurezza 1 e 2 targati Salvini che a detta di molti minano le libertà dei cittadini e rappresentano precedenti legislativi pericolosi. Il Conte bis quando potrà, con sollecitudine, affrontare una riforma Franceschini 2 della riforma Bonisoli a scapito della riforma Franceschini 1 sui beni culturali?
Tra i problemi irrisolti, le “Grandi navi” a Venezia
Franceschini dovrà affrontare poi a breve un problema annoso su cui aveva già fatto una proposta caduta nel vuoto quando era ministro: lo stop alle “Grandi navi” a Venezia. La materia fa capo in primo luogo al ministero delle Infrastrutture e Trasporti ma dopo Toninelli l’arrivo di Paola De Micheli, Pd anche lei, donna politica con una conoscenza istituzionale e una cultura della gestione della cosa pubblica ben più solida del predecessore, può far presagire un’intesa, anche se poi non basterà perché devono decidere e intervenire le autorità veneziane, dalla magistratura delle acque al sindaco ora leghista.
Franceschini politicamente è stato uno dei più convinti sostenitori dalla nascita del Partito Democratico. Non a caso era vicesegretario di Walter Veltroni, primo segretario del partito scaturito dall’abbraccio tra ex comunisti e centristi “di sinistra”. Figlio di un partigiano cattolico, si iscrisse giovanissimo alla Dc. Avvocato, ha divorziato, ha due figlie dalla prima moglie e una terza dalla seconda e attuale moglie, Michela Di Biase, capogruppo Pd all’assemblea in Campidoglio del Comune di Roma. Il dem ha scritto cinque romanzi.