Da lontano e sul web sembra una enorme poltrona con seni, color carne e trafitta da frecce e incatenata. È la “Maestà sofferente”, installazione che vuole denunciare la violenza alle donne dell’artista Gaetano Pesce allestita in piazza Duomo a Milano per la Design Week in corso dal 9 al 14 aprile. Ma l’opera ha scatenato le proteste di molte donne e del movimento femminista «Non una di meno». Per due ragioni almeno: la prima è una domanda sul perché affidare l’immagine della violenza contro le donne in un luogo pubblico e centrale come la piazza milanese a un artista uomo? Non ci sono donne artiste in grado di elaborare un linguaggio efficace? Ce ne sono a bizzeffe.
La seconda ragione è sull’opera. Per le donne di «Non una di meno» la “Maestà sofferente” in realtà è una «ulteriore violenza» perché rappresenta la donna «per l’ennesima volta come corpo inerme e vittima» e perché è vittima senza mostrare l’uomo che pratica quella violenza.
Quanto l’architetto e designer ha dichiarato all’inaugurazione, come riferito dal corriere.it, non ha appacificato gli animi: «L’arte fa discutere e fa crescere il nostro cervello. Secondo me, questa opera è una festa, anche se triste perché si ricorda che le donne sono vittime di violenza, ma è meglio ricordarlo che negarlo». Al che sono fioccati i commenti tra l’amareggiato e il sarcastico, sui social. Per la frase «questa opera è una festa, anche se triste». Una festa triste? Se un uomo, un giovane, venisse violentato e/o ucciso per motivi sessuali, qualcuno parlerebbe di «festa triste»?
La “Maestà sofferente” è una versione ingigantita della poltrona Up5&6 che Pesce disegnò nel 1969: è alta otto metri e con una variante, è trafitta da 400 frecce, è circondata dalle teste di tigri, leoni, serpenti, ed è incatenata a una palla di ferro.