Non c’è solo Van Gogh che, anche per le condizioni sociali, incarna il mito dell’artista di genio con ricoveri in case di cura psichiatrici o semplici luoghi di parcheggio di chi, di norma per le condizioni sociali, ha incontrato difficoltà particolari. In Italia abbiamo Antonio Ligabue, nato a Zurigo nel 1899, morto a Gualtieri il Emilia Romagna nel 1965. L’artista incasellato nel genere naif, in realtà più raffinato di quanto si pensi, autore di un’arte che rimanda proprio anche a Van Gogh, fu ricoverato tre volte sia in Svizzera che in Italia.
L’ultimo ricovero su all’ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia. E la sua cartella clinica ora può essere consultata perché sono passati 70 anni dall’ultima volta che venne dimesso.
La rendono pubblica la Ausl di Reggio Emilia con la Fondazione Palazzo Magnani, il Comune di Gualtieri, il Centro di storia della psichiatria e la Fondazione Museo Antonio Ligabue. A Palazzo Magnani domenica 2 dicembre si discuterà dell’ospedale psichiatrico San Lazzaro, delle sue attività, cui seguirà una visita guidata alla mostra
“Jean Dubuffet. L’arte in gioco. Materia in spirito” con Giorgio Bedoni, psichiatra e docente all’Accademia di Brera a Milano che ha curato la sezione sull’art brut nell’esposizione sull’artista dell’ultimo dopoguerra. Dopo l’immane massacro dell’ultima guerra mondiale Dubuffet infatti proponeva un’arte creata da degenti in ospedali psichiatrici che definiva art brut e rifiutava i canoni dell’equilibrio psichico e della razionalità. La mostra è aperta fino al 3 marzo.
Tornando a Ligabue, il 9 dicembre a Gualtieri si terrà una conferenza sul pittore che all’anagrafe era registrato come Laccabue, dal cognome del patrigno.