Confrontare l’interesse per le arti della politica di sinistra dal Dopoguerra fino al mitizzato ’68 e la politica di sinistra odierna ha effetti impietosi. A scapito dei politici dei nostri giorni. Certo, non vanno coltivate nostalgie per dibattiti che lasciavano sul campo anche feriti gravi (moralmente e culturalmente), eppure quelle discussioni infervoravano le aule, le pagine dei giornali, gli artisti. Da dove scaturisce questa constatazione? Da un libro? Da una conferenza? No, dalla mostra di dipinti e sculture “Nascita di una Nazione. Tra Guttuso, Fontana e Schifano”. Curata da Luca Massimo Barbero è fino al 22 luglio 2018 a Palazzo Strozzi a Firenze. Recita la nota stampa: “ospita ottanta opere di artisti come Renato Guttuso, Lucio Fontana, Alberto Burri, Emilio Vedova, Enrico Castellani, Piero Manzoni, Mario Schifano, Mario Merz e Michelangelo Pistoletto”, più altri geni quali come Pino Pascali o Alighiero Boetti, approdando dagli anni ’50 alle contestazioni sessantottine vissute e condivise da numerosi artisti. Un suggerimento: sono indispensabili i pannelli che spiegano cosa accadeva in quegli anni e il clima intorno alle opere. E qual è il confronto di cui si diceva? Senza girarci attorno: allora la politica di sinistra aveva una presenza forte nel dibattito culturale più profondo, oggi a dire poco latita o va a ruota di chi ha successo.
Togliatti contro gli astrattisti
La rassegna parte con un enorme dipinto di Guttuso su una battaglia garibaldina affollata di camicie rosse. Più o meno sottinteso, rimandava al colore della bandiera rossa del Partito Comunista che, con il segretario Palmiro Togliatti in primo piano, e con il peso del realismo socialista propagandato dall’Unione Sovietica, dopo la guerra propugnava un’arte appunto realista, di figure, che enucleasse le lotte civili e sociali. Contro questo orientamento si schierarono fior di artisti come Giulio Turcato che praticavano un’arte piena di astrazioni, di ricerche formali audacissime. Spesso erano anch’essi comunisti, o comunque di sinistra, e osavano. Cercavano, e trovavano, forme perfettamente congrue con l’alto livello dell’arte occidentale negli anni Cinquanta e Sessanta. Autori come Mario Schifano negli anni Sessanta non avranno nulla da invidiare, in qualità, con i più celebrati campioni della Pop Art nordamericana.
E alcuni politici si scagliavano spesso con veemenza contro artisti che a loro giudizio non erano in linea. Provocando lacerazioni, dibattiti feroci, passione, incrinando amicizie. L’acquisto di un Burri (maestro dell’Informale, l’autore di quadri fatti di sacchi di iuta) da parte della Galleria nazionale d’arte moderna di Roma a fine anni ’50 provocò un’interrogazione parlamentare scandalizzata. Ma qual è la differenza tra allora e oggi?
Oggi si insegue tutto quanto è “pop”
Il Partito Comunista prendeva posizione, voleva dettare la linea, aveva una linea culturale. Certo, oggi è facile riconoscere che incappò in errori storici e fu spesso cieco di fronte ad artisti in grado di incarnare le lacerazioni e i sommovimenti culturali con più profondità di un Guttuso, tanto per citare il capofila osannato dal Pci. Eppure la sinistra, la politica, dibatteva, aveva idee sue, senza essere peraltro un monolite. Storici dell’arte come Giulio Carlo Argan, che a metà anni Settanta fu sindaco di Roma come indipendente di sinistra e chiamato dal Pci, comprendevano molti artisti del loro tempo, i più audaci, e ne scrivevano, li difendevano. Allora torniamo qui: dai partiti di forte impronta ideologica ci si aspettava una linea culturale. Magari la si contestava, eppure si sentiva, nel dibattito artistico. Ordunque si arriva alla domanda finale: la sinistra, oggi, ha una linea culturale chiara sulle pratiche dell’arte? Nella cultura? Un Togliatti aveva idee precise. Discutibili, forse, ma aveva idee in merito. I leader politici attuali, quale idee cavalcano? Quelle “pop”, nel senso che le cavalcano quando sono popolari. Inseguono, vanno al seguito, non tirano la carretta. Non oserebbero mai contrapporsi alla maggioranza nel terrore di inimicarsi anche un solo elettore. Volendolo o meno, la mostra fiorentina ci squaderna anche questo scarto d’epoca. Nessuna nostalgia, sarebbe fuori luogo. Lascia tuttavia l’amaro sul presente “Nascita di una nazione”, che prende il titolo in prestito dal film-kolossal del 1915 dell’americano David Wark Griffith e quella “nazione”, oggi, pare molto sfilacciata.
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