Occhio al terremoto: i fotografi scuotono l'anima

Olivo Barbieri, Paola De Pietri e Petra Noordkamp fotografano le macerie delle Marche devastate dal sisma per la soprintendenza e il Maxxi

Occhio al terremoto: i fotografi scuotono l'anima
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29 Marzo 2018 - 12.58


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Bisogna vedere le macerie per salvaguardare la memoria ed elaborare il senso del lutto collettivo. La ricostruzione dei paesi, il ritorno alla vita, nei paesi del Centro Italia colpiti dal terremoto del 2016 ancora non c’è. Dopo un anno e mezzo. Quei territori e quei borghi rischiano di non tornare più alla vita di prima. In molti luoghi chissà se e quando gli abitanti potranno rientrare. Quei luoghi sono cambiati. Per raccontarli il soprintendente all’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Marche Carlo Birrozzi, architetto, e il museo Maxxi di Roma e il direttore del settore Architettura Margherita Guccione, hanno commissionato una ricognizione del paesaggio marchigiano ferito a tre fotografi di nome sotto il titolo “Terre in movimento”: Olivo Barbieri, Paola De Pietri e l’olandese Petra Noordkamp. Un catalogo, mostre nelle Marche e, nel 2019, al museo d’arte contemporanea di Roma documenteranno questi racconti. «I tre autori invitati hanno massima libertà nella scelta del formato e del medium (fotografia, video, proiezione) e le opere prodotte entreranno anche nelle collezioni di fotografia del Maxxi», puntualizza una nota. Il trio ha già avviato una prima campagna fotografica.

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Barbieri: «Si tende a dimenticare»

«Uno dei problemi dei grandi disastri è che si tende a dimenticare», afferma Barbieri. Dell’autore avrete forse a mente per le sue foto di città o luoghi di mare affollati pervasi da una luce abbagliante e che, dalla sua Carpi in Emilia. Foto luminose, spesso solari, e in grado di suscitare una lieve eppure penetrante, e salutare, inquietudine. Il fotografo non è nuovo al terremoto: aveva già inquadrato gli effetti del sisma emiliano nel 2012, avendolo vissuto in prima persona perché viene da Carpi, nel modenese, e ha già esplorato le devastazioni marchigiane raccogliendo scatti drammatici, a bordo di un elicottero dei carabinieri, di borghi, case, strade, ridotti a macerie su macerie.

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Proprio perché ci si confronta con le rovine, diventa necessario narrare, qui con le immagini, per elaborare quanto accaduto, per sentirsi comunità, per ripartire, sostiene in sintesi Birrozzi. «La documentazione si fa linguaggio, memoria, rigenerazione – scrive il soprintendente – Le Marche si trovano oggi – con la dimensione imponente e diffusa della ferita creata dal sisma – al centro del dibattito sul tema della rovina, tra i più dirimenti sul piano culturale e spirituale contemporaneo. Se i muri, le opere e le carte, le pietre e i suoni sono segni intorno ai quali la comunità riconosce il senso della propria appartenenza, il loro crollo rappresenta una perdita reale e simbolica che interroga sul senso dello stare insiemi in certi luoghi e della ricostruzione, sul rispetto della storia e della filologia, sulle modalità della rigenerazione».

 

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