La Secessione viennese, con Klimt in testa, pittori come Böcklin sono non solo noti ma amati da molti tipi di pubblico. Meno conosciuto è Teodoro Wolf Ferrari (1878-1945). «Ha sofferto di una indebita e certo involontaria ma non meno grave sottovalutazione», afferma in una nota lo storico dell’arte Giandomenico Romanelli in occasione della mostra “Teodoro Wolf Ferrari. La modernità del paesaggio” che ha curato con Franca Lugato a Palazzo Sarcinelli a Conegliano (Treviso) e dove resta aperta fino al 24 giugno 2018.
La rassegna propone oltre 70 opere, tra dipinti, acquarelli, pannelli decorativi, vetrate, studi per cartoline. Dall’esperienza a Monaco e in Germania al confronto con l’ambiente veneziano, in particolare di Ca’ Pesaro (con opere di Gino Rossi e Ugo Valeri), la mostra vuole evidenziare come Wolf Ferrari abbia non solo maturato ma anche affinato un linguaggio con “il costante sperimentalismo tipico di quella Secessione che animava l’inizio del ‘900”.
Le componenti dell’arte di Teodoro, quella böckliniana, quella sintetista e infine quella klimtiana, si snodano nelle nove sezioni: Nell’aura di Böcklin (del pittore c’è una versione della celebre “Isola dei Morti”); Brughiera a Luneburgo; Tempeste dall’Isola dei morti; Con i giovani di Ca’ Pesaro; Riflessi nell’acqua; Come Klimt. Betulle e salici; Una passeggiata dal Grappa al Piave.
Accompagna i quadri un percorso sonoro con i i brani del compositore, fratello di Teodoro, Ermanno Wolf Ferrari (Venezia, 1876-1948).